Cinque minuti di applausi. Al Teatro Sociale di Mantova il Festivaletteratura chiude con un tutto esaurito. Roberto Saviano è sul palco, gli occhi lucidi di commozione. È arrivato sotto scorta, nessuno ha potuto avvicinarlo. «Grazie a voi – dice subito -. I lettori sono importanti, tutto quello che è accaduto è stato determinato dai lettori. Siete voi che, leggendo, avete fatto paura ai poteri criminali». Saviano insiste, è un suo chiodo fisso quello della parola letteraria che si oppone alla malavita: «I boss non vogliono essere argomento di discussione, non vogliono essere svelati. Vogliono essere loro i giudici. Chi legge terrorizza. Chi legge condivide con me la mia condizione. Stasera vi racconto che cosa significa vivere come me in un paese che ha il più alto tasso di uomini scortati al mondo». Nonostante qui siano passati tra i più grandi scrittori viventi, il Festivaletteratura ha raramente provato un’emozione tanto intensa. L’autore di Gomorra riesce a stregare la platea degli ottocento fortunati che hanno trovato posto in teatro. E lo fa in maniera semplice, didascalica, con un maxischermo dietro di sé su cui fa scorrere prima i titoli dei giornali di Caserta. La denuncia è precisa, sconvolgente: «Le notizie che certi quotidiani locali pubblicano sono ispirate dai boss. Conoscono bene i temi e i tempi della guerra che tutti i giorni si combatte. Ecco, questo è don Peppe Diana. Lo hanno ammazzato il giorno del suo onomastico. Subito dopo è partita la campagna diffamatoria. I quotidiani hanno scritto che è stato ammazzato perchè era camorrista. Prima uccidere, poi diffamare chi si oppone al loro potere. Così fanno. La camorra nel Sud ha prodotto ventimila morti, in Campania quattromila. Se fosse accaduto altrove, nessun sindaco sarebbe rimasto al suo posto». Agli attoniti spettatori di Mantova Saviano racconta Sandokan e i Casalesi, gli avvocati dei boss che si presentano ovunque lui tenga conferenza e le scritte insultanti sui muri di Casal di Principe. «Ma io ho scritto solo un libro» dice. E racconta del suo incontro con Salman Rushdie, che gli ha ripetuto la stessa cosa. «Io non ho paura», aveva esordito Saviano. Ma conclude dicendo: «Mi sento l’uomo più solo del mondo». E la platea resta in un silenzio profondo. La dodicesima edizione del Festivaletteratura di Mantova, che ha visto la sua formula open air su sfondo rinascimentale riscuotere il successo consueto, con 57mila biglietti venduti e 23mila presenze – il 10% di incremento rispetto allo scorso anno – si è chiusa dunque con Napoli al centro dell’attenzione. Saviano soprattutto, ma prima di lui anche la performance teatrale di Toni Servillo con La lettera di Lord Chandos sabato, e l’incontro con il pubblico di Valeria Parrella e Diego De Silva, alla Casa del Mantegna, hanno calamitato l’attenzione del pubblico su una città complessa, di cui s’è mostrata la ricchezza del lato creativo e i suoi aspetti più drammatici. De Silva ha scelto la strada dell’ironia. «Senza dubbio uno dei codici principali a cui ci rifacciamo è quello delinquenzial-camorristico, con uno sguardo zoologico sulla realtà. Questo aspetto ci affascina perché il delinquente è più interessante del borghese». Per Parrella Napoli può essere la cartina di tornasole di ciò che accade nella penisola, con i suoi rapidissimi flussi di mutamento sociale. Carico di pathos il suo intervento, che racconta del suo rapporto viscerale con Napoli, «dove provo una rabbia e una sofferenza continue, e da cui mi allontano sempre con un senso di colpa».
SAVIANO: ORMAI SONO L’UOMO PIU’ SOLO AL MONDOultima modifica: 2008-09-08T16:37:00+02:00da
Reposta per primo quest’articolo