La Farnesina in contatto con Alitalia ed Enac. In tutto 100 mila gli stranieri bloccati, si sta coordinando con gli altri Paesi europei. Mentre a Bangkok la situazione si aggrava
I primi italiani rientrati a Roma dalla Thailandia |
ROMA — I primi 90 sono tornati ieri pomeriggio, dopo un’odissea durata tre giorni. Sono sbarcati a Fiumicino carichi di rabbia e di stanchezza. «È stato una specie di rientro “fai da te”, ci siamo sentiti abbandonati: non siamo stati contattati dall’ambasciata, nonostante avessimo chiamato più volte la nostra rappresentanza. Abbiamo usato Internet per organizzarci da soli il rientro».
Ma in Thailandia restano ancora 700 turisti italiani, sorpresi dalla furibonda protesta iniziata una settimana fa. E dunque, mentre la situazione sembra degenerare ogni ora un po’ di più (ieri la polizia che controllava l’aeroporto di Bangkok è fuggita davanti all’incalzare dei dimostranti), la Farnesina sta correndo ai ripari: l’Unità di crisi del ministero degli Esteri sta cercando di mettere in piedi un ponte aereo con la Thailandia, coordinandolo con le altre nazioni europee. Perché l’emergenza ha ormai raggiunto numeri preoccupanti: secondo le stime del governo thailandese sono almeno 100 mila i turisti bloccati nel Paese. «Ci vorrà un mese per rimpatriarli tutti », ha ammesso ieri sconsolato il vicepremier thailandese Olarn Chaiprawat. Qualche Paese, come Spagna e Svizzera, ha già cominciato a muoversi per conto proprio: dalla Spagna ad esempio sono in partenza due aerei militari e un aviogetto civile noleggiato per l’occasione, che dovrebbero riportare a casa tutti e 300 gli spagnoli rimasti bloccati.
Per i 160 svizzeri invece sta provvedendo una compagnia di assicurazione elvetica. Il problema però è da dove far ripartire gli sventurati turisti. L’unico aeroporto agibile è quello della base militare di U-Tapao, a 190 chilometri da Bangkok, che il governo ha deciso di aprire ai voli privati. Ma è comunque una faccenda complicata, anche perché la strada non è sicura e soprattutto non ci sono mezzi di terra sufficienti per una tale massa di gente. Gli italiani tornati ieri ad esempio hanno dovuto sobbarcarsi un viaggio estenuante, per poter toccare il suolo patrio: 26 ore di pullman fino a Chiang Mai, al confine Nord della Thailandia, per imbarcarsi poi su un volo dell’Air China in arrivo da Taipei. Solo pochi fortunati sono riusciti a imbarcarsi su un volo interno Thai per Chiang Mai, evitando così di dover attraversare via terra tutto il Paese. Ieri all’Unità di crisi della Farnesina le luci sono rimaste accese fino a tardi: c’era un vertice con i servizi di emergenza di Alitalia ed Enac, per mettere a punto una strategia possibile.
Il ministro Franco Frattini (appena tornato anche lui in maniera avventurosa da un viaggio in Messico) assicura che la situazione è seguita con «grande attenzione», e soprattutto in coordinamento con le Unità di crisi degli altri Paesi dell’Unione. Ufficialmente il blocco dell’aeroporto di Bangkok dovrebbe terminare lunedì alle 18, ma la situazione è così confusa e fluida che nessuno al mondo è in grado di esserne certo. L’unica cosa sicura è che le dimostrazioni sono state per la Thailandia un vero e proprio salasso finanziario: le perdite per il turismo, principale attività del Paese, ammontano finora a 4,2 miliardi di dollari, l’1,5 per cento del prodotto interno lordo.