L’80 % ha un appartamento di proprietà ma il 20 % è in difficoltà a pagare un affitto. Insostenibili i prezzi di mercato
Sono 600 mila le persone in Italia che si trovano in una condizione di fabbisogno abitativo. Il numero rappresenta le domande giacenti nelle graduatorie dei Comuni per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica. In pratica, si tratta di persone e famiglie che hanno un reddito sufficientemente basso—il livello varia da regione a regione— per poter richiedere una casa popolare. Il dato è stato elaborato da Federcasa, l’associazione che riunisce i principali enti di gestione degli ex Iacp e che l’8 ottobre è uno dei protagonisti del convegno «Social housing, riordino urbano e valorizzazione del territorio ». Il 9 e 10 ottobre sarà l’Anci a promuovere un altro convegno, «I Comuni e l’abitare: le nuove domande sociali, gli attori e gli strumenti operativi». Nonostante il nostro sia il Paese europeo con il tasso maggiore di proprietari di un’abitazione (80%) la questione abitativa è al centro dell’interesse pubblico: per molti la casa è un problema. Il mercato degli affitti per la piccola fetta di popolazione rimanente non è alla portata di tutti. I canoni di locazione aumentano di anno in anno.
Secondo Nomisma, nel 1991—2007, a fronte di una crescita delle disponibilità familiari del 20,8%, l’incremento dei canoni di mercato nelle aree urbane è risultato del 66,7%. L’incidenza della locazione di un’abitazione di 80 mq sul reddito familiare è passata dal 20,7% dei primi anni ’90 all’attuale 28,5%, con un aumento, peraltro interamente concentrato nel periodo 1998—2005, vicino ai 38 punti percentuali. Secondo il sindacato degli inquilini Sunia, nel 2008 affittare una casa costa in media il 5,2% in più rispetto al 2007. Ma il dato che colpisce è quello sulla causa principale degli sfratti. Non la finita locazione, bensì la morosità: si è passati dai 17.664 casi del 1983 che rappresentavano il 12,85% del totale ai 33.559 del 2007 che rappresentano il 77,34% del totale. «Questo accade perché la gente non riesce più a sostenere i prezzi di mercato—dice il segretario generale del Sunia, Luigi Pallotta —. Ma a differenza dell’attenzione posta al problema di chi non riesce a pagare il mutuo, non si nota che negli ultimi 5 anni sono ben 160mila le famiglie che non sono riuscite a fare fronte al pagamento in maniera regolare». L’assegnazione di una casa popolare resta un miraggio. «Attualmente si riescono a gestire soltanto le emergenze — dice Luciano Cecchi, presidente di Federcasa — e non a soddisfare le domande. Il problema è che il patrimonio è già tutto occupato. Con le conseguenti tensioni abitative che si registrano nelle maggiori città e nei Comuni di prima cintura». I quasi 800 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica dati in locazione non bastano. I tempi d’attesa per le famiglie iscritte alle graduatorie sono indefiniti, i nuovi bandi o gli aggiornamenti risultano essere un esercizio di stile, una pura formalità.
Tanto che il Comune di Napoli, per mancanza di offerta, non aggiorna più le graduatorie dal 2000. Non a caso l’Italia è uno dei Paesi europei con la percentuale di edilizia pubblica più bassa: il 4,5% rispetto al 34,6% dei Paesi Bassi e al 17,5% della Francia. E a differenza di Paesi come Spagna e Francia, da noi non esiste un ministero per la Casa ad hoc. Bisognerebbe creare nuovi alloggi, ma il pubblico costruisce sempre meno. «Fino al 1998 si costruivano circa 25mila nuovi alloggi l’anno—dice Anna Pozzo, architetto di Federcasa— ma dal 1998 il trend è calato e attualmente si costruiscono soltanto cinquemila abitazioni all’anno». Mancano i finanziamenti. «Attualmente si costruisce con quello che si ricava dalle vendite di alloggi popolari e dagli scarsi finanziamenti degli enti pubblici», dice Pozzo. Dunque troppo poco. Secondo un’indagine del centro studi Nomisma, nel nostro Paese per coprire il fabbisogno sociale manca all’appello un milione di alloggi. E nel frattempo le situazioni di bisogno aumentano. Oltre a chi è in condizioni di povertà tali da potersi permettere di vivere soltanto in una casa popolare e nella maggior parte dei casi si tratta di anziani, esiste una fetta di popolazione che appartiene al ceto medio la quale, pur non volendo o non avendo i requisiti per andare in un alloggio di edilizia residenziali pubblica, non ha i mezzi per stare sul mercato. «Si tratta dei giovani, degli studenti e dei lavoratori precari — dice Loris Zaffra, presidente dell’Aler di Milano —. Per loro la risposta che abbiamo trovato è il social housing, cioè un alloggio a canone concordato e moderatoma non sociale». Per fare un esempio, se la media di un canone d’affitto in una casa popolare è meno di cento euro al mese, con il social housing in Lombardia si pagano tra i 280 e i 420 euro al mese a seconda della metratura. Secondo Nomisma, esprimono una domanda potenziale di case in affitto a canone moderato almeno 900 mila giovani, 150 mila studenti e 100 mila lavoratori pendolari. «A queste categorie bisogna aggiungere quella degli uomini separati—precisa Luciano Cecchi —. E soprattutto ricordarsi che adesso ci sono anche gli immigrati a esprimere un forte bisogno abitativo». Sempre secondo Nomisma, dei circa 2,7 milioni di regolari residenti registrati nel 2006, sono circa un milione quelli che vivono in abitazioni precarie o comunque in condizioni di disagio.