I genitori naturali: «Siamo immigrati nell’88, eravamo poveri, per questo l’abbiamo dato in adozione», «Gli abbiamo sempre voluto bene, vorremmo più affetto da lui»
Balotelli con i genitori adottivi |
BAGNOLO MELLA (Brescia) — Quando Mario Balotelli fece la sua comparsa sul palcoscenico del calcio nazionale, tifosi e appassionati rimasero stupiti dalle gesta del ragazzino. Più grande di tutti fu lo stupore di Thomas Barwuah, immigrato ghanese residente a Bagnolo Mella. Che di Mario è il padre naturale. «Non sapevo nemmeno che avesse cambiato il suo vero cognome con quello della famiglia cui era stato affidato», dice ora con l’amarezza dipinta sul volto. L’altra faccia della favola sportiva di Mario Balotelli, esploso nell’Inter e prossimo all’esordio nella nazionale maggiore sono i volti di papà Thomas e di mamma Rose. I veri genitori del calciatore sono sempre rimasti nell’ombra; escono allo scoperto per la prima volta perché si sentono feriti da alcune frasi rilasciate alla stampa dal loro Mario: «Con mio fratello e le mie sorelle vado d’accordo, ci sentiamo spesso. Ma con i miei veri genitori non ho grandi rapporti. Mi hanno dato via quando ero piccolo» è il senso delle dichiarazioni.
«Ecco, vorremmo dire a Mario che gli abbiamo sempre voluto bene — è il loro sfogo —, che abbiamo enorme gratitudine per la famiglia Balotelli che lo ha cresciuto. Ma vorremmo avesse anche con noi un rapporto di affetto. E soprattutto non abbiamo “dato via” nostro figlio; le cose sono andate in un modo che forse nemmeno Mario sa». Eccola, allora, la storia vista dalla famiglia Barwuah, di cui oltre papà e mamma fanno parte Abigal, figlia ventenne dal viso incantevole, Enock, che già si fa valere sui campi di calcio giovanili (ma tifa Milan) e la piccola Angel. La raccontano dal salotto della loro casetta, lontana dallo sfarzo in cui si muove un calciatore di serie A. La tv rimanda le immagini di Italia-Israele under 21, ferme sullo zero a zero: ci vorrebbe proprio Mario, per sbloccare il risultato, ma è rimasto in tribuna perché ha l’influenza. «Io e mia moglie — attacca papà Thomas — siamo arrivati in Italia alla fine degli anni Ottanta, nel 1988, Palermo è stata la nostra prima tappa. Lì è nato Mario ma fin dalla nascita gli hanno diagnosticato una malformazione all’intestino: è rimasto in ospedale per tutto il suo primo anno di vita ed è stato operato».
Quando i guai fisici del futuro campione volgono al meglio, la famiglia si sposta a Bagnolo Mella, dove c’è più lavoro, ma il problema è trovar casa. «Vivevamo con un’altra famiglia africana in un monolocale — stavolta è Rose a ricordare — umido e pieno di muffa. Andai dagli assistenti sociali, feci presente che avevo un bimbo malato. Case per noi non ce n’erano; in compenso, avendo saputo che avevo un bimbo malato, mi dissero che sarebbe stato meglio affidare Mario a qualche famiglia della zona. Furono gli assistenti stessi a indicarci i signori Balotelli». È stato così che le strade del futuro bomber e della sua famiglia d’origine si sono divise. Divise per modo di dire, perché Bagnolo e Brescia, dove Mario va ad abitare, distano solo una dozzina di chilometri. E da lì in avanti più nessun rapporto? «Ma no, io lo sentivo spesso — racconta Thomas Barwuah — lo portavo a casa nei fine settimana, lo facevo stare con i suoi fratelli. Poi le cose sono cambiate col passare degli anni. I rapporti si sono fatti più freddi, dovevo andare a vederlo giocare a calcio quasi di nascosto, mi sembrava che ci tenesse a distanza. Anche adesso lui parla tranquillamente con le sorelle e i fratelli ma con noi molto meno».
Ed è questa la spina nel cuore di Thomas e Rose: «Non ci interessa che adesso sia famoso e non stiamo certo cercando soldi: quelli che abbiamo per fortuna ci bastano e se Mario si presentasse a mani vuote sulla porta di casa nostra, lo riprenderemmo con noi. Desideriamo solo che si ricordi che anche noi siamo i suoi genitori». Una vocazione che sembra non essere venuta meno soprattutto in mamma Rose. Prima dei saluti strappa una promessa: «Dite all’allenatore dell’Inter, il signor Mourinho, che tratti Mario come fosse suo figlio. Lui ne ha bisogno».