Di pietro: «Colpo di mano contro la democrazia». Gentiloni: «Probabili dimissioni». L’esponente del Partito democratico votato dalla maggioranza. Lui: «Non volevamo che accadesse»
Riccardo Villari |
Scheda – Chi è Villari: l’epatologo centrista, tifosissimo del Napoli
INCONTRO – Lo stesso Villari ha spiegato che è stata rotta una «prassi», e che non assumerà posizioni in contrasto «con quello che deciderà il mio partito». «Non volevamo che accadesse – ha aggiunto – ma prendo atto dell’esito della votazione perché credo di avere il dovere di rispettare i presidenti delle Camere e il presidente della Repubblica come rappresentante delle istituzioni». Villari però non ha ancora rassegnato le sue dimissioni: l’esponente Pd ha dichiarato all’Agi il suo intento di seguire «un percorso istituzionale»: vedrà, «appena possibile», il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ed i presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani. «Poi – ha aggiunto – all’interno del gruppo politico e dei partiti che lo compongono saranno fatte le valutazioni finali».
REAZIONI – Marco Beltrandi, componente Radicale della Vigilanza Rai, invita invece Villari a non dimettersi «in quanto ci sono atti dovuti che la Commissione deve adottare senza ulteriori ritardi». «A lui vanno le mie congratulazioni per l’elezione a presidente della Vigilanza Rai – afferma Beltrandi – che pone fine ad un vulnus costituzionale durato oltre sei mesi, per sanare il quale i radicali hanno condotto varie e gravi iniziative non violente». Mario Landolfi, deputato del Pdl e membro della commissione di Vigilanza Rai nella scorsa legislatura, commenta l’elezione con una battuta: «Dopo Obama, Villari Clinton…». Per Maurizio Gasparri, Pdl, «l’elezione di Villari rappresenta una soluzione che sblocca una vicenda che ha una rilevanza istituzionale importante. Villari ha raccolto voti trasversali, e cioè più voti di quelli a disposizione del centrodestra. A questo punto crediamo che la Vigilanza possa funzionare, con un presidente affidato all’opposizione».
DI PIETRO – Non la pensa così Antonio Di Pietro. «Signor presidente Videla – ha esordito in aula il leader Idv rivolto al premier – lei è un capo di governo modello Argentina, umilia ogni giorno il Parlamento con colpi mano. Pochi minuti fa ha promosso e realizzato ultimo atto provocatore di questa deriva antidemocratica, la nomina di una persona scelta dalla maggioranza» alla presidenza della vigilanza. «La maggioranza ha avuto l’arroganza di scegliere chi deve rappresentare l’opposizione: un comportamento tipico delle dittature argentine».
ROSA – In precedenza il leader del Pd, Walter Veltroni, e quello dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, avevano chiesto all’Italia dei valori una rosa di possibili nomi tra cui scegliere il candidato per la presidenza della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai: un atto di buona volontà per la situazione di impasse venutasi a crear sul nome di Leoluca Orlando. Dopo una quarantina di sedute andate a vuoto, nella giornata di mercoledì c’era stata la prima votazione valida per la nomina del nuovo presidente. Ma il candidato designato dalle minoranze, l’ex sindaco di Palermo, oggi dipietrista, non aveva ottenuto il quorum necessario, a causa della scheda bianca votata in massa da tutti i consiglieri del Pdl, che da sempre esprime dubbi sul nome avanzato dall’Idv. Non solo: anche due degli esponenti del centrosinistra non avevano votato per il fondatore della Rete, segno che anche all’interno dell’opposizione non c’è unanimità di vedute sul suo nome.
IL VETO DEL PDL SULL’IDV – Il nome del presidente della Vigilanza viene per prassi scelto dall’opposizione, trattandosi di una commissione di garanzia. Tuttavia il centrodestra non ritiene Orlando sufficientemente super partes per poter ricoprire questo ruolo che è al tempo stesso istituzionale e politico. Un giudizio che molti esponenti del Pdl estendono all’intero partito di Antonio Di Pietro, accusato di essere giustizialista. Di qui la nuova mossa di Veltroni e Casini, che oltre a sollecitare il partito dell’ex pm a proporre candidature diverse, avevano diramato una dichiarazione congiunta in cui dicevano no alla discriminazione dell’Idv e invitavano il Pdl a non compiere «gesti provocatori» eleggendo un «presidente di comodo». Poi, a scompaginare le carte, è arrivato il voto su Villari.