Intercettate in carcere le frasi dei boss: «Gli imprenditori non pagano più, la colpa è di quello». Croce con una finta bomba a Giuseppe Catanzaro. Lo Bello: alzano il tiro. Lo sfogo: «Vogliamo soltanto lavorare»
Giuseppe Catanzaro |
AGRIGENTO — Allarme mafia per gli imprenditori-coraggio della Valle dei Templi. Misure rafforzate per Giuseppe Catanzaro, vice di Ivan Lo Bello in Sicilia, presidente degli industriali di Agrigento, capofila di una rivolta che annulla i guadagni di Cosa Nostra e fa terra bruciata attorno a due superlatitanti pronti a reagire con nuove minacce. Prima le «voci» dal carcere captate dagli inquirenti con obliqui messaggi di vendetta nei suoi confronti. Adesso una teca di vetro con una croce legata a fili elettrici e batterie, un macabro cofanetto lasciato sul muretto dell’azienda di famiglia. Vigilanza e videocamere installate agli angoli di uffici e capannoni dove lavorano cento dipendenti non sono bastate per evitare al «postino» di recapitare il messaggio di morte. Adesso si passano al vaglio migliaia di immagini. Novanta le persone già controllate.
Intanto, cresce la tensione, anche ai vertici di Confindustria Sicilia. «Stanno alzando il tiro», commenta Lo Bello, preoccupato ma fiducioso: «È la reazione a successi importanti conseguiti grazie all’incisività di magistratura, forze dell’ordine e alla collaborazione del mondo imprenditoriale ». Lo stesso non sempre compatto come sa Lo Bello, addirittura accusato di essere stato «monotematico», stando all’aggettivo usato dall’ex presidente degli industriali di Catania Fabio Scaccia anche per questo defenestrato un mese fa dai probiviri. Tensione simile a quella emersa a Caltanissetta dove non tutti condividono l’impegno di Antonello Montante, altro vice di Lo Bello nell’isola. Una ragione in più per «rafforzare i controlli» come i vertici di Confindustria chiedono su Agrigento, mentre entra nel vivo il processo in cui Catanzaro accusa con altri sei imprenditori i mafiosi che potevano contare su un «pizzo» di centomila euro l’anno incassato da quel pugno di vittime.
Un primo determinato drappello che Catanzaro sta facendo crescere convincendo allo stesso passo i colleghi di Porto Empedocle e Favara, Sciacca e Aragona, costruttori e fornitori, titolari di piccole e grandi imprese. Con una raffica di denunce e nuove indagini sugli intrighi eccellenti di una provincia dove queste battaglie hanno determinato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose di due comuni, Siculiana e Campobello di Licata. A fine settembre, le prime inquietudini per alcune «voci » rimbalzate dal carcere di Petrusa dove sono reclusi i compari di Gerlando Messina e Giuseppe Falzone, i superlatitanti un tempo con roccaforti a Porto Empedocle e Campobello. «Questi non pagano più…». Rubinetti a secco. Guadagni interrotti. Ed un colpevole additato oltre le sbarre a chi è ancora fuori. Appunto, Catanzaro, un quarantenne sposato e («per fortuna», commenta amaro) senza figli.
Una vita di inferno. Costretto a mutare spesso percorsi e case in cui dormire. La teca con la croce è un pessimo segnale per il questore Girolamo di Fazio e per il colonnello dei carabinieri Mario Di Iulio, decisi ad alzare la guardia in una città che registra fermenti simili a quelli palermitani con i giovani di Libero Futuro e Addiopizzo impegnati in un lavoro porta a porta, convegni, dibattiti. Un’atmosfera colta da uomini come Salvatore Montemagno, il capo della Mobile che all’inizio del processo contro il gruppo accusato da Catanzaro e soci si presentò in aula con tutti gli uomini del suo ufficio: «Per sottolineare che lo Stato non avrebbe lasciato soli i testimoni della svolta». Aria nuova, sgradita ai boss di una provincia dove stanno per scattare investimenti per due milioni di euro, dal discusso rigassificatore da realizzare a Porto Empedocle al raddoppio della Caltanissetta- Agrigento. Cemento, movimento terra, forniture di tondini di ferro sono i settori più inquinati da imprese mafiose che «dovranno restare fuori dal business», come ripete Catanzaro. «Vogliamo solo lavorare con il giusto profitto. Senza parassiti, compresi mafia e racket».