L’ITALIA E’ UNO DEI PAESI CRITICI VERSO I CRITERI ADOTTATI. In discussione in futuro del protocollo di Kyoto, in bilico fra «Obama» e i grandi in via di svilluppo
OBAMA VERSO L’ECONOMIA «VERDE»- Dietro le quinte della conferenza si agitano, fin dall’inizio, speranze e minacce. Pochi giorni fa, il neo eletto presidente degli Stati Uniti Barak Obama, ha annunciato alcuni impegni ambientali che sembrano andare nella logica di Kyoto: riportare le emissioni di gas serra Usa ai livelli del 1990 entro il 2020 e stanziare 15 miliardi di dollari l’anno in energie rinnovabili «per catalizzare gli sforzi del settore privato nella costruzione di un futuro energetico pulito». Obama non ha detto esplicitamente che il suo Paese rientrerà nel Protocollo di Kyoto, dopo esserne uscito clamorosamente nel 2001 con l’avvento di Bush, ma il direttore generale dell’Agenzia ambientale dell’Onu Achim Steiner è ottimista: «Il presidente eletto Obama ha confermato che nei prossimi mesi una nuova politica climatica caratterizzerà gli Stati Uniti. Questo è molto importante non soltanto per il futuro della Convenzione sul clima e del Protocollo di Kyoto, ma anche perché lancia un preciso segnale: vuol dire che, a dispetto della crisi finanziaria, c’è spazio per un’economia verde».
I PAESI IN «DIFESA» – A fronte di una forte nota positiva, tante altre di segno opposto. La Polonia, paese ospitante della conferenza, si è messa di traverso rispetto al «pacchetto clima» dell’Unione Europea. Si tratta di una specie di corollario di Kyoto che impegna i partner all’obiettivo dei tre «20»: riduzione delle emissioni, aumento dell’efficienza energetica e incremento delle rinnovabili. Il governo italiano le ha fatto da sponda denunciando anche che, a fronte dell’attuale crisi, è impossibile rispettare gli obiettivi di riduzione fissati a Kyoto. Di fatto avremmo dovuto tagliare i nostri gas serra del 6,5% e invece ci ritroviamo con un aumento di oltre il 10%. Anche il Canada, uno dei Paesi più energeticamente inefficienti del mondo industrializzato, è su posizioni di fronda. Ai mal di pancia dei forzati di Kyoto si aggiunge l’immobilità dei Paesi in via di rapidissimo sviluppo: Cina, India, Brasile, Indonesia, che nonostante l’aumento delle loro emissioni totali di gas serra, alla vigilia della conferenza hanno ribadito il loro no a un calendario di impegni con scadenze precise.
IN BILICO – Insomma da Poznan il Protocollo Kyoto potrà uscire rilanciato, con la speranza di partorire un figlio al prossimo vertice di Copenhagen del 2009, oppure distrutto e con scarse speranze di successione. Ma senza controllo alcuno dei gas serra, ammoniscono gli economisti e i climatologi consultati dal WWF internazionale, le emissioni cresceranno del 40% entro una ventina d’anni (2030) e le temperature di 6 gradi entro la fine del secolo, provocando il collasso del pianeta. Se può consolare, Poznan offrirà la più aggiornata rassegna delle tecnologie più avanzate per limitare i gas e combattere l’effetto serra. Come dire: le opzioni tecnologiche per cambiare strada ci sono, ma ci vogliono anche le necessarie scelte politiche.