«Mi sono decisa nel 2007: lo volevo come qualunque altra donna». «Dal torace piatto a una terza piena: tra dolori atroci sono rinata donna»
Vladimir Luxuria durante una pausa dei lavori parlamentari: è stata deputata del Prc dal 2006 al 2008 |
A 42 anni, con una poltrona in Parlamento nelle file di Rifondazione comunista, oramai alle spalle le frenetiche stagioni delle discoteche, avevo raggiunto la stabilità psicologica necessaria per affrontare l’intervento: mi sarei sottoposta a una mastoplastica additiva. Un passo decisivo sulla strada che stavo percorrendo da una vita intera: riappropriarmi del genere a cui da sempre so di appartenere. Io lo chiamo un processo androginoide: sono nata uomo, ma dentro sono donna. Erano almeno cinque anni che ci pensavo. A bloccarmi, la paura per l’operazione e la consapevolezza che non sarebbe stato facile né immediato convivere con una parte del corpo nuova, appiccicata addosso.
È stata la mia amica Silvia, anche lei transgender, a convincermi. Il chirurgo che l’aveva operata, Maurizio Eleuteri, aveva fatto un buon lavoro e lei sfoggiava un seno invidiabile. Ho preso fiducia. Ho cominciato la trafila di visite e accertamenti dallo stesso specialista, con lui abbiamo deciso l’aspetto e la misura di quello che sarebbe stato il mio nuovo décolleté. Ho scelto una terza abbondante, che si armonizasse con il mio metro e 80 di statura. Di esagerare non mi andava proprio. Quel seno lo volevo per piacere di più a me stessa, non per attirare gli sguardi degli uomini su una quinta gonfia e statica.
Il dottore mi ha informata di tutti gli effetti collaterali possibili: che il silicone si indurisse e creasse l’effetto palloncino o che il corpo rigettasse le protesi. Ma ero decisa. Abbiamo optato per un tipo di silicone di ultima generazione, cosiddetto ruvido: si adattava meglio alla forma del mio petto, che per natura non era completamente piatto come spesso quello dei maschi. Non ho dovuto sottopormi ad alcuna cura ormonale.
I giorni precedenti all’operazione mi turbinavano in testa timori, domande, dubbi: mi riconoscerò? Riuscirò a indossare vestiti scollati o mi vergognerò? La notte potrò dormire a pancia in giù? Per l’intervento ho approfittato delle vacanze pasquali, era l’aprile del 2007. Quando mi sono guardata allo specchio, anche con addosso una fasciatura stretta, ho saputo subito una cosa: quel seno era come se l’avessi sempre avuto. Ho passato due notti in clinica, con dolori atroci perché la pelle sotto cui erano state inserite le protesi tirava per adattarsi alle nuove mammelle. Due cannule per il drenaggio sporgevano dalla medicazione e aiutavano il mio corpo a eliminare le secrezioni e il sangue. Il petto era gonfio, come spingesse, ma io mi sentivo molto femmina: si sa, le donne hanno una soglia di sopportazione del dolore molto più alta rispetto agli uomini.
Tornata a casa, ho tenuto per un mese un reggiseno ortopedico. Ma ci è voluto un anno perché il seno risultasse davvero naturale. Poi è arrivata L’Isola dei famosi: in Honduras mi sono messa a nudo, in ogni senso. Sapevo della morbosità che avrebbero suscitato le mie tette nuove di zecca, non solo sui compagni di avventura ma anche sugli spettatori. Ho evitato il topless ma mi sono sentita perfettamente a mio agio con il bikini, anche perché un pareo legato allo slip nascondeva i genitali. Lì l’operazione non l’ho fatta. E non ci penso. A dirla con una battuta, ciascuno deve accettare i propri difetti. E poi, con i 17 chili persi durante il programma, mi sento in forma, più femminile e soddisfatta che mai.