Il caso Sicilia Energia. I limiti delle campagne contro il progetto. Dai danni al territorio a quelli alla Valle dei Templi: solo falsi allarmi
Se fosse ancora l’ameno borgo marinaro di Luigi Pirandello, giù le mani! Ma Porto Empedocle non è più da decenni quel borgo di casupole «sulla spiaggia, battute dal vento tra la spuma e la rena». E la ringhiosa guerra al rigassificatore sta diventando un simbolo della ipocrisia finto-ambientalista. Che spaccia come fosse un ridente paradiso tra i templi greci quella che ormai è un’immonda discarica di cadaveri industriali. Ma vi è mai capitato di sentire certi servizi televisivi?
Vi si narra che «l’opera posta a pochi chilometri dalla Valle dei Templi causerà un evidente impatto ambientale e non porterà alcun vantaggio alla popolazione interessata », che paesaggisticamente «l’impatto sarà devastante», che «secondo uno studio preparato per il Pentagono» (quale? boh…) l’energia contenuta in una nave gasiera equivale «a quella di diverse bombe atomiche». A guardare tutto on-line su YouTube americani e giapponesi dovrebbero inorridire: mamma mia! Per non dire di certi reportage, come uno del manifesto. Titolo: «L’intrigo del gas nella Valle dei Templi». Sommario: «Un mostro da 320 mila metri cubi d’acciaio e otto miliardi di metri cubi di gas all’anno (…) Voluto dall’Enel in una delle aree archeologiche più belle del pianeta». I politici, poi! Bastino ad esempio le parole di Marco Zambuto, lo sveglio giovanotto cresciuto a destra, eletto sindaco di Agrigento col centrosinistra ma presto convertito al berlusconismo: «Difenderemo il territorio di Agrigento da una struttura che non costituisce una vera occasione di sviluppo».
L’Enel assicura che gli enormi serbatoi saranno interrati e sporgeranno solo con due cupole alte un sesto di quella del Brunelleschi a Firenze e impossibili da vedere sia dai templi sia dalla casa di Pirandello? Dimostra dati alla mano che in tutto il mondo non c’è mai stato un solo incidente serio ai rigassificatori? Garantisce la costruzione del sospirato braccio del porto che consentirà l’attracco al molo «senza alcun rischio» delle navi da crociera? Darà al comune di Porto Empedocle 14 milioni di euro e una percentuale sugli utili? Spiega che accoglierà «senza fastidi per nessuno» due navi la settimana da 150 mila litri di gas liquido pari a 90 milioni di metri cubi di gas aiutando l’Italia a subire meno la dipendenza dai gasdotti? Spallucce. Anzi. A nome del Comune il sindaco ha presentato pure un ricorso al Tar: «Questi progetti si realizzano su territori considerati a perdere», ha tuonato ieri su La Stampa, «ma qui non è così. Non può essere: c’è la valle dei templi». Quindi, vade retro Enel: il rigassificatore sarebbe «una bomba che andrebbe a debellare un’area a forte vocazione turistica». Va da sé che le foto a corredo sono sempre le stesse: il Tempio di Giunone Lacinia, il Tempio della Concordia, il Tempio di Esculapio… Uno le guarda e avvampa: dove lo faranno mai, questo maledetto rigassificatore: accanto alla tomba di Nerone? Anche Giulia Maria Crespi, la presidente del Fondo Ambiente Italiano, era rimasta inorridita. Poi aveva visto il posto. Di persona. Non nelle fotografie, che si possono ritoccare dando all’Alighieri un nasetto all’insù, e aveva cambiato idea: «Se a Porto Empedocle si bocciasse il progetto del rigassificatore sapete cosa si farebbe al suo posto? Niente di niente». Posizione analoga a quella di Salvatore Settis, il direttore della Normale di Pisa: «Un tizio mi scrive un giorno: “ad Agrigento stanno facendo una cosa mostruosa, tra i templi e la casa di Pirandello…”. Io, che non ne sapevo niente, gli rispondo una cosa tipo: “Se è come dice lei, sarebbe in effetti indecoroso”. Non l’avessi mai fatto! Da quel momento hanno usato strumentalmente questa cosa un sacco di volte nonostante li avessi diffidati. Sono stufo anche di smentirla, quella sciocchezza. Anzi, vedendo il dossier del Fai mi sono fatto un’idea diversa». Come Giovanni Nocera, animatore del comitato pro-rigassificatore: «Mi ero avvicinato al tema per combattere l’impianto, poi ho capito».
E questo è il punto: l’area prescelta non c’entra più niente con l’ameno paesaggio descritto dai viaggiatori d’un tempo che fu. È stata assassinata da decenni. Stuprata da una industrializzazione selvaggia.
Sconvolta dalla costruzione di fabbriche e ciminiere e depositi e cisterne. Già un secolo fa, scriveva Pirandello, ai piedi della costa dove stava «la campagna lieta della vicinanza del mare, tutta a mandorli, a olivi e a vigneti », non c’era più una spiaggia silente ma il formicolio del traffico di zolfo: «damane a sera è uno stridor continuo di carri che vengono carichi di zolfo dalla stazione ferroviaria o anche, direttamente, dalle zolfare vicine; e un rimescolìo senza fine d’uomini scalzi e di bestie, ciattìo di piedi nudi sul bagnato, sbaccaneggiar di liti, bestemmie e richiami, tra lo strepito e i fischi d’un treno che attraversa la spiaggia».
Scheletri di cemento, lamiera, mattoni, acciaio arrugginito: ecco cosa resta dell’area industriale di Porto Empedocle. Pozzanghere enormi.
Erbacce. Strade dall’asfalto sbranato dall’incuria. Una sopraelevata interrotta perché son finiti i soldi e rimasta lì a svettare nel vuoto, con l’ultimo spuntone che non è mai riuscito a conficcarsi nella lunga galleria, già scavata e pavimentata, che passa sotto il paese. Insomma, una schifezza che grazie a Dio, fatta eccezione per le ciminiere, non si vede né dai Templi né dalla casa di Pirandello né dalla contrada Kaos che, al di là delle favole turistiche, è oggi identica a tutte le più brutte contrade popolari del Sud sgarruppato.
È questo il paradiso che secondo certi ipocriti verrebbe distrutto dal rigassificatore? Lo stesso Beppe Arnone, storico guru degli ambientalisti, gira al largo: «Non ne faccio un problema paesaggistico perché il paesaggio è già degradato e forse il rigassificatore si vedrebbe solo dal mare. E lasciamo perdere anche le stupidaggini sulla “bomba atomica”: o torniamo alle candele o i rigassificatori sono il male minore. Punto. Lo facessero a Licata sarei d’accordo. Ma farlo qui significa perpetuare l’errore. E condannare in eterno l’area a una vocazione che non ha, quella industriale. Perché invece non buttare giù tutti gli scheletri, risanare e puntare sul turismo? Perché dovremmo essere come Marghera e non come Taormina?».
Parole d’oro. In astratto. Ma il tema è: in attesa che tornino gli anni delle vacche grasse e arrivi un governatore illuminato e un nababbo internazionale che copra d’oro la zona e smantelli chilometri di orrenda archeologia industriale e ripianti gli alberi e semini i fiorellini e riporti la spiaggia e le stelle marine e magari i cavallucci, cosa facciamo? Lasciamo tutto come sta adesso?