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E il re dei casinò rischia la bancarotta

 

Sheldon Adelson, repubblicano radicale, ha perduto il 95% del suo patrimonio di 27 miliardi di dollari

 

 

Sheldon Adelson, il re dei casinò di Las Vegas

«A Las Vegas il tempo passa in modo gradevole. Questa è una buona notizia, ma è anche una cattiva notizia perché al presidente Obama i posti dove ci si diverte non piacciono: dice che i soldi dei contribuenti non devono andare a luoghi come Las Vegas». «Voglio fare una ricerca e istituire un premio per la città più noiosa. Magari viene fuori che è Chicago».

Circondato ancora da una vastissima popolarità, trattato con rispetto anche dai politici e dalle lobby che lo contrastano, il presidente americano non aveva fin qui subito attacchi di questa durezza. Tantomeno da un grande imprenditore come Sheldon Adelson, il re dei casinò di Las Vegas, uno che fino a un anno fa si faceva chiamare Sheldon III: non per motivi dinastici, ma perché a fine 2007 Forbes l’aveva incoronato terzo uomo più ricco d’America, con un patrimonio personale di 27 miliardi di dollari. Ma oggi Adelson è un uomo furioso e disperato: in poco più di un anno il figlio di un tassista ebreo lituano che 63 anni fa, quando ne aveva appena 12, cominciò a guadagnarsi da vivere a Boston vendendo giornali, è passato da una ricchezza spropositata alla distruzione del 95 per cento del suo patrimonio. E ora rischia la bancarotta. Con l’impennata dei prezzi dei carburanti prima e con la crisi finanziaria poi, gli americani hanno ridotto i loro pellegrinaggi a Las Vegas.

Un guaio doppio per Adelson che non solo aveva costruito giganti come il “Palazzo” e il “Venetian” – 4000 suite e 19 ristoranti – ormai difficilissimi da riempire, ma aveva inventato il business delle “convention” aziendali e delle fiere, come quella dell’elettronica che si tiene in gennaio. Il crollo del sistema creditizio ha fatto precipitare soprattutto questo business. E le poche banche che, rispettando vecchi impegni, avevano continuato a ricompensare i loro “broker” e i funzionari più produttivi con una vacanza a Las Vegas, hanno fatto marcia indietro dopo le scudisciate del leader democratico. Adelson non ci ha pensato due volte e ha attaccato a testa bassa. Del resto lui, oltre ad essere un imprenditore in difficoltà, è pure un repubblicano a trazione integrale: uno impegnato nella difficile impresa di spostare più a destra l’Aipac, la lobby degli ebrei americani che ha un’enorme influenza sulla Casa Bianca. Oggi Sheldon se la prende con Obama con la stessa durezza con la quale l’anno scorso aveva attaccato Olmert perché aveva aperto alla costituzione di uno Stato palestinese indipendente. Col predecessore di Obama Adelson aveva una rapporto talmente familiare da prendersi qualche libertà di troppo.

Un anno fa era andato alla Casa Bianca per invitare Bush a diffidare dell’eccessiva disinvoltura con cui, a suo avviso, l’allora Segretario di Stato Condoleezza Rice si muoveva in Medio Oriente («sta costruendo la sua immagine, non si preoccupa della coerenza della tua politica»). Alla fine raccontò che Bush lo aveva abbracciato ma gli aveva spiegato che non poteva opporsi al doppio Stato perché «non posso pretendere di essere più cattolico del Papa» (frase ufficialmente smentita dalla Casa Bianca). Adelson non ha mai tentato, neanche tatticamente, il dialogo coi democratici. E nemmeno loro hanno mai provato ad avvicinare un miliardario divenuto celebre per frasi come «l’Islam radicale e la legge che dà ai sindacati piena libertà di accesso nelle aziende sono le due principali minacce che pesano sulla nostra società ». Ma il padrone del gruppo Sands ha ugualmente considerato le parole del presidente su Las Vegas un affronto, oltre che un colpo mortale al suo “business”, perché Adelson si considera, in fondo, un benefattore: uno che ha creato decine di migliaia di posti di lavoro. Certo, il gioco d’azzardo non è un modello di crescita virtuosa della società, ma Obama durante la campagna elettorale non aveva mostrato di disprezzarlo troppo, quando era andato a battere Hillary Clinton nei caucus del Nevada, tenuti proprio nei casinò. Sheldon – un uomo pieno di energia nonostante i 75 anni e una malattia che ha colpito nervi e muscoli, costringendolo su una sedia a rotelle – schiuma rabbia: aveva conquistato il suo sterminato impero con le unghie, è stato per decenni un super-ricco che nonostante i miliardi e il “jumbo jet”, un Boeing 747 lungo 70 metri usato come aereo personale, ha avuto sempre il “complesso di Calimero”: la sensazione di non essere mai preso abbastanza sul serio, di essere maltrattato, come nella sua infanzia a Boston, dove «noi ragazzi ebrei venivamo sistematicamente picchiati dai nostri coetanei irlandesi».

La sua rivincita era stata quella di aver affiancato Warren Buffett e Bill Gates in cima alla classifica dei miliardari, di essere diventato il grande finanziatore della lobby ebraica, addirittura di aver avuto un ruolo nella disputa delle Olimpiadi del 2008 a Pechino: fu, infatti, proprio lui, l’imprenditore che sta costruendo una nuova Las Vegas a Macao, ad aiutare il governo cinese ad evitare che il Congresso Usa lanciasse un’offensiva contro l’assegnazione dei Giochi a un Paese responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. I democratici avevano presentato una risoluzione in questo senso, ma Adelson attivò il suo amico Tom DeLay, allora capo della maggioranza repubblicana: il veto alla Cina finì in un cestino. Ma successi e gloria sono svaniti nell’arco di pochi mesi: adesso Adelson capeggia un’altra classifica della rivista “Forbes”: quella dei miliardari che hanno perso di più nel 2008.

In dodici mesi ben 24 miliardi di dollari dal suo patrimonio sono andati in fumo. Segue, al secondo posto, Warren Buffett, che ha perso 16,5 miliardi. L’azione della Sands (la sua holding ha mantenuto il nome del primo casinò da lui acquistato, quello in cui si esibiva Frank Sinatra) che nel 2007 era arrivata a quotare 144 dollari, ora a Wall Street vale meno di due dollari. Sull’orlo della bancarotta, Adelson si sente abbandonato e anche disprezzato, mentre gli altri settori in crisi vengono aiutati. «Eppure – contrattacca – a Chicago (la città di Obama) ci sono nove casinò. Lì, però, le “convention” si possono fare, ci si annoia abbastanza. A meno che – Dio non voglia – a qualcuno non venga in mente di andare a divertirsi in una casa gioco. Ma l’importante è che i dollari pubblici non arrivino fino a Las Vegas. Eppure il gioco d’azzardo è legale in 30 Stati Usa».

E così, anche se rischia la bancarotta e se è stato costretto a sospendere la costruzione di nuovi alberghi a Las Vegas e in Cina, Adelson adesso vuole dimostrare il suo “impegno sociale” andando avanti col nuovo Sands di Bethlehem, in Pennsylvania, antica città siderurgica diventata una città fantasma. Il nuovo casinò aprirà il 22 maggio proprio nei capannoni della vecchia acciaieria: 3000 “slot machine” al posto del treno di laminazione.

Massimo Gaggi

E il re dei casinò rischia la bancarottaultima modifica: 2009-03-08T12:32:59+01:00da
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