PAOLA (COSENZA) – Degenti scomparsi, morti sospette ma anche traffico di organi e falsi testamenti per accaparrarsi i beni dei pazienti. Ha dell’incredibile quanto sta emergendo dall’inchiesta che la Procura della Repubblica di Paola sta conducendo sull’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello. La struttura, di proprietà di una fondazione che fa capo all’Arcidiocesi di Cosenza, è nell’occhio del ciclone dal 2006, da quando cioé fu sequestrata a causa delle condizioni di degrado.
Ma è nel luglio del 2007 che il bubbone della struttura di ricovero scoppia in tutta la sua virulenza con l’arresto del direttore, don Alfredo Luberto, un sacerdote che si sarebbe appropriato di somme per milioni di euro investendole in appartamenti di lusso, quadri antichi, gioielli e altri beni poco consoni all’austerità cui dovrebbe ispirarsi la vita di un sacerdote. Don Luberto, proprio nei giorni scorsi, è stato rinviato a giudizio. Adesso, però, si scopre che l’istituto Papa Giovanni XXIII non sarebbe servito soltanto a don Luberto ed alla cerchia dei suoi più stretti collaboratori per arricchirsi. La casa di cura sarebbe stata, secondo la definizione del Procuratore della Repubblica di Paola, Bruno Giordano, “un pozzo degli orrori”.
Nelle indagini si parla, infatti, di 12 persone scomparse e di 15 morti sospette riguardanti altrettanti degenti. I numeri, tra l’altro, secondo gli investigatori, sono parziali ed a conclusione dell’inchiesta, quando i fatti saranno accertati completamente, saranno molto più consistenti. Chi è deciso ad andare fino in fondo in questa vicenda è proprio la Procura di Paola “Stiamo indagando – ha detto Giordano – per fare luce su tutte le stranezze che hanno caratterizzato la gestione del Papa Giovanni. E vogliamo anche capire le complicità occulte di cui potrebbero avere beneficiato i responsabili di questa situazione”. La Procura ha già disposto lo sgombero dei 300 degenti del Papa Giovanni. Un provvedimento che sarà eseguito, ha detto Giordano, “soltanto quando sarà trovata una collocazione alternativa per i ricoverati e quando si realizzeranno le condizioni più opportune per la sua esecuzione. Non una pura azione repressiva, dunque, ma di salute e sicurezza pubblica, nell’interesse in primo luogo degli ammalati e dei lavoratori”.
Bisogna anche risolvere il problema del futuro dei circa 500 lavoratori del Papa Giovanni. L’istituto è servito anche per gestire clientele politiche legate all’assunzione del personale. Ci sono stati periodi in cui il Papa Giovanni ha avuto più dipendenti che ricoverati. Per l’attuazione dello sgombero saranno impiegati oltre mille agenti con l’intervento del Reparto Celere. Quanto sta emergendo dall’inchiesta viene, comunque, vivacemente contestato dal portavoce dei dipendenti dell’istituto.
“In questa struttura – dicono i dipendenti – non si è verificato nulla di losco. Non ci sono state scomparse e meno che mai omicidi, ma solo 4-5 allontanamenti volontari. Troviamo ingiusto che ora noi dipendenti veniamo descritti come degli assassini quando, invece, per anni, ci siamo presi cura dei pazienti che si trovano in questa struttura”.
Ezio De Domenico