Informati Subito

A Napoli chiudono le case-famiglia Mancano i soldi, ragazzini per strada

 

NAPOLI — Adesso che ha chiuso anche Itaca le isole di Francesco sono davvero finite. Il nome è di fantasia, lo sguardo furbo, i capelli tinti di biondo con due dita di ricrescita nera e tutto il resto sono veri. Appena 14 anni, gli ultimi tre li ha passati in una comunità per minori, allontanato da una madre con gravi problemi psicologici ed economici. Il posto si chiamava Itaca, e nel grigio della periferia di Casoria era quel che prometteva di essere. Un rifugio per quei ragazzi perduti che sono il simbolo della crisi.
I ritardi nei pagamenti da parte del Comune di Napoli, gli educatori che scelgono di emigrare dopo due anni senza stipendio. Nessuna Itaca può resistere se rimane senza pane. La comunità ha chiuso nel novembre del 2008. Francesco entra in un altro centro per adolescenti, questa volta a Portici. Quattro mesi e si chiude per lo stesso motivo, l’atavico ritardo nei pagamenti. Il ragazzo finisce in una terza struttura, ma anche questa spegne le luci dopo poche settimane. Dall’inizio del 2009, sono cinque i centri di accoglienza per l’infanzia e per l’adolescenza che hanno cessato l’attività, tutti per lo stesso motivo. Francesco è stato «latitante» per due mesi, con l’aiuto della polizia i servizi sociali lo hanno ritrovato nei vicoli del centro.
Ce ne sono tante, di storie come queste. E negli ultimi mesi ci si è un po’ dimenticati di Napoli. Saturazione, forse. La politica locale, ritrovata una relativa tranquillità, ha gli occhi puntati al 31 marzo, giorno nel quale dovrà essere approvato il bilancio di previsione 2009. Passaggio sempre delicato, ancora di più quest’anno, visto che il professor Riccardo Realfonzo, «tecnico» scelto per far dimenticare l’inchiesta-Romeo, ha candidamente parlato di «voragine », stigmatizzando una gestione all’insegna di «sprechi, consulenze inspiegabili, spese dirigenziali assolutamente fuori controllo, mancate riscossioni di dimensioni scandalose ». All’ultima voce vanno aggiunti i 40 milioni di euro di multe che nessuno si è mai preoccupato di incassare.
La misura del disastro è nelle cifre dell’Ufficio Studi di Mediobanca, che in una ricerca sulle società controllate dai maggiori comuni italiani ha scoperto che tra 2003 e 2007 le perdite accumulate da quelle napoletane raggiungono i 225 milioni. Nella voragine sono caduti per primi i più deboli. Non c’è più un centesimo. «Massima preoccupazione per la profonda crisi che attanaglia i servizi sociali a Napoli e provincia, dove la situazione si è fatta del tutto insostenibile. Progetti e servizi essenziali sono sospesi, chiudono o vengono realizzati da enti che sopportano ritardi dei pagamenti da parte del Comune di Napoli che in alcuni casi oltrepassano i 24 mesi. Gli enti non riescono più a far fronte agli anticipi e gli operatori non riescono più a non essere pagati ». La richiesta d’aiuto del Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza è caduta nel silenzio, così come quella delle comunità per disabili che hanno invocato lo stato di crisi. Ma la paralisi è totale, perché al cosiddetto terzo settore viene appaltato l’85% delle attività a tutela delle fasce deboli.
Chiudono le case-famiglia, quelle che dovrebbero accogliere i ragazzi che il Tribunale dei minori allontana dai genitori, a novembre hanno chiuso per mancanza di fondi i Nidi di Mamme, progetto che in quartieri come Barra e San Giovanni accoglieva 80 bimbi immigrati e non, dove lavoravano 24 educatrici e 60 madri volontarie. Ripartiranno per qualche mese con fondi speciali della Regione, ma il futuro si annuncio pessimo. La realtà napoletana è una continua corsa a misure-tampone. Alcune comunità incaricate di accogliere i ragazzi che il Tribunale ha allontanato dalle loro famiglie non ricevono soldi dal dicembre 2007. I bambini diversamente abili non sono andati a scuola per tutto l’inverno. L’associazione incaricata del loro trasporto non aveva i soldi per pagare polizze di assicurazione e benzina dei pullman.
«La colpa è nostra, non c’è dubbio ». Giulio Riccio, assessore alle Politiche sociali, è l’uomo chiamato a tappare la falla con un dito. «Napoli stanzia 20 milioni di euro solo per le comunità che accolgono i minori. Altre città del Sud non arrivano a 2». Il problema è che si tratta di soldi virtuali come quelli del Monopoli. «Non lo facciamo apposta. Ci mettiamo davvero 24 mesi a raccoglierli ». I motivi del ritardo? «Stato e Regione che mandano i soldi in ritardo, trasferimenti di risorse bloccati, tagli imposti al bilancio, 70 milioni di euro solo quest’anno. Colpa nostra, ma non prendiamoci in giro. Esistono diversi tipi di spese. In un’area socialmente disastrata come Napoli, quelle per i soggetti svantaggiati dovrebbero essere libere dai vincoli del patto di stabilità. Così non è, anzi. La crisi picchia forte soprattutto sui più deboli. Se ne ricordino tutti, quando ci sarà da commentare la prossima emergenza napoletana».
Marco Imarisio

A Napoli chiudono le case-famiglia Mancano i soldi, ragazzini per stradaultima modifica: 2009-03-15T12:18:52+01:00da
Reposta per primo quest’articolo