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Genova, 25 poliziotti nei guai: cocaina, bische e festini

 

L’inchiesta Le prime manette a febbraio. Il questore: solo poche mele marce. La lista degli agenti drogati pronta per il Viminale

 

GENOVA — Il mondo sotto al monumento di Quarto era come un film americano. I circoli per anziani diventavano bische notturne. Arrivava gente in cerca di coca che si faceva chiamare «Jack» e «Topo», con i rotoli di banconote in tasca. Gli sbirri che gestivano il traffico di droga si sentivano «prima spacciatore e poi poliziotto », tenevano in casa fucili a pompa e munizioni da guerra per custodire «la bamba», organizzavano festini con prostitute, transessuali e fiumi di polvere bianca, si depilavano a sangue il pube per sfuggire ai controlli tossicologici degli «Affari interni», sniffavano fino a «farsi girare gli occhi», scortavano armati le auto dei pusher.

Lo sapevano in tanti, quel che succedeva intorno al «monu », la statua che celebra la partenza dei Mille di Garibaldi diventata punto di ritrovo dei «cattivi tenenti» genovesi, i due poliziotti arrestati lo scorso febbraio per spaccio. Era davvero come un film o un romanzo lungo almeno due anni, dal 2007 al 2009. Di quelli sui poliziotti cattivi, «i ragazzi del coro » raccontati da Joseph Wambaugh e poi James Ellroy. Dove non c’è più distinzione tra male e bene, i mondi paralleli del crimine e della legge finiscono per sovrapporsi e diventare una sola cosa. Soltanto che qui i cattivi tenenti avevano facce da ragazzi, non la maschera sfatta di Harvey Keitel.

Al nono piano del palazzo di Giustizia in questi giorni va in scena una sorta di forca caudina. Uno alla volta, vengono interrogati una trentina di agenti. Dalle intercettazioni risultano essere consumatori abituali di cocaina. Il pubblico ministero Vittorio Ranieri Miniati li mette davanti ad un bivio. Se ammetti di aver comprato e sniffato vieni segnalato al Prefetto e vai incontro ad un procedimento disciplinare, ci sono già gli ispettori venuti da Roma che aspettano di avere i nomi. Se rimani in silenzio vieni indagato per favoreggiamento. In ventidue sono finiti nel primo elenco. Altri tre hanno dato prova di omertà e adesso sono sotto inchiesta.

Nessuno si è mai accorto di niente, questa è la versione ufficiale. I poliziotti arrestati e quelli indagati hanno lavorato a Milano, Asti, Lodi, Novara, Mondovì e Genova, trafficando sempre in cocaina. I magistrati sono sempre più convinti che gli agenti abbiano goduto di una rete di connivenze. Non un complotto da parte di cittadini al di sopra di ogni sospetto. Piuttosto, la semplice condivisione del consumo di droga, pratica che dalle testimonianze raccolte finora sembra diffusa tra i colleghi degli agenti arrestati. Anche nelle intercettazioni ci sono passaggi preoccupanti. «Sei dei tanti, non ti preoccupare, sei proprio nella norma», dice un agente ad un collega mentre parlano tra loro del consumo di droga. Anche per questo il capo della Polizia ha subito mandato i suoi ispettori. Nessuna voglia di sottovalutare l’allarme.

«Poche mele marce», è la definizione fornita dal questore di Genova Salvatore Presenti. Un gruppo di amici, tutti compagni di corso, età compresa tra i 25 e i 30 anni. L’indagine nasce quasi per caso e fin da subito assume una coloritura malsana. Massimo Pigozzi è un agente che nel luglio scorso è stato condannato a tre anni e due mesi per i fatti avvenuti durante il G8 nella caserma di Bolzaneto. Aveva «strappato» la mano di un no global, divaricandogli le dita fino a lacerare pelle e legamenti. Nel 2007 era stato arrestato con un’altra accusa. Insieme ad alcuni suoi colleghi avrebbe violentato tre prostitute straniere nelle guardine della questura genovese. I magistrati decidono di fare intercettazioni sull’utenza dell’agente che abitualmente era di turno con lui. Dall’ascolto delle telefonate emergono riferimenti a festini a base di cocaina. Ad organizzarli è uno spacciatore, Luca Schenone, che rifornisce decine di poliziotti. Due di questi acquirenti, gli agenti Morgan Mele e Stefano Picasso, decidono di mettersi in proprio, organizzando una rete che aveva clienti in molte questure del Nord Ovest.

I comportamenti illegali di questo gruppo di agenti mostrano una scelta di campo netta. «Venererò quello spacciatore fin che vivrà» dice Mele, consapevole dell’abbruttimento dovuto alla droga. «Non riesci a pisciare, dormire, mangiare. E non ci vedi, cazzo». Quando Picasso viene fermato dai carabinieri mentre sta sniffando fuori da una discoteca, decide di prendersi una pausa dal lavoro in questura e simula una malattia, ingannando il medico. «Recito da Oscar. E ho scoperto che il bello è stare a casa senza avere assolutamente nulla, è una cosa bellissima». Un poliziotto dichiara le sue intenzioni: «Voglio bruciarmi completamente ». Il collega lo ammonisce a non portare un amico considerato non adatto: «Non vorrei che morisse lì, e poi ci tocca anche buttarlo nella spazzatura». Medici pronti a dare lastre false per simulare incidenti, armi illegali, depilazioni integrali e ripetute per aggirare i controlli. Due atti di droga venduta e consumata ogni settimana. Coca a fiumi, cervelli in pappa. «Stasera voglio fare una rissa della Madonna, finisce che ammazzo tutti». La sensazione di impunità che permette di fare progetti folli. «Facciamo come i colleghi arrestati a Brescia» dice l’agente Mele. Si riferisce ad una banda di carabinieri e vigili urbani che rapinava extracomunitari. «Rapinare i negri», una suggestione che ricorre spesso nelle intercettazioni. Ogni Paese ha i ragazzi del coro che si merita.

Marco Imarisio

Genova, 25 poliziotti nei guai: cocaina, bische e festiniultima modifica: 2009-03-19T15:33:24+01:00da
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