Innamorato respinto sfigurò con l’acido una giovane: punito con stesso trattamento. Il giovane in carcere a Teheran invoca la ragazza: risparmiami un occhio e mi prenderò cura di te
MADRID – Ancora pochi giorni e, forse già all’inizio di aprile, terminate le celebrazioni del nuovo anno persiano, la pena sarà eseguita: occhio per occhio. Ameneh Bahrami, una trentenne iraniana che vive a Barcellona, tornerà a Teheran per riscuotere il risarcimento che le spetta per la legge del taglione: la vista di Majid Movahedi. Tornerà a incontrare quello spasimante respinto, soltanto per trascinarlo nella stessa oscurità cui lui la condannò cinque anni fa. Nello stesso inferno di sofferenza e mutilazione. Ameneh non perdona, anche se il ragazzo, in un’intervista esclusiva al quotidiano spagnolo El Mundo, le rivolge un estremo appello. Anzi, una nuova proposta: «Risparmiami almeno un occhio, perché io possa prendermi cura di te. Ripagarti del male che ti ho fatto. Assisterti per tutta la vita».
Ma lei non vuole saperne di dimezzare il conto e, tanto meno, di condividere con lui il resto dell’esistenza. O, non sia mai, di vedere il mondo attraverso i suoi occhi. Vuole, pretende che Majid viva il suo stesso calvario. E sogna di essere lei stessa a lasciar cadere le quaranta gocce di acido stabilite dal tribunale nelle pupille del suo sfregiatore. Da una cella della capitale iraniana lo studente che cinque anni fa sfigurò e accecò Ameneh, gettandole dell’acido in faccia, tenta di difendersi: «Io volevo sposarla. Avevo fatto tutto il possibile perché accettasse la mia proposta. La supplicavo, ma lei non mi ascoltava. Non mi lasciò altra scelta. Pensavo che, se le avessi bruciato il volto, nessun altro uomo l’avrebbe sposata e lei avrebbe finito per accettare me».
Non è un ragionamento poi così originale in Iran: deturpare un amore non corrisposto per indurlo ad accontentarsi dell’unico pretendente rimasto. Gli uomini, e anche le donne, che vi ricorrono si sono conquistati perfino un appell ativo sul dizionario: acid-pashi, lanciatori di acido. «Ma di solito sono condannati a due o tre anni di carcere. Per me, non è stato così » non si capacita di tanta severità nei suoi confronti Majid, che ancora crede di aver possibilità di far breccia nel cuore di Ameneh.
In aula ha ascoltato, come se non la sentisse, la donna dei suoi sogni reclamare il suo atroce risarcimento. Ha ascoltato i giudici accoglierla e non si è ribellato: «Me lo merito». Ma coltiva ancora la sua disperata illusione: «Vorrei vivere con lei, anche da cieco. Continuo ad amarla e sarà sempre così, anche se saremo ciechi entrambi. Tutti pensano che io voglia soltanto sfuggire alla condanna e perciò lo dica. Invece la amo». Majid implora El Mundo di far giungere ad Ameneh, a Barcellona, una lettera con la sua richiesta di perdono. Niente da fare: «Quel ragazzo mente». E tra due settimane, quando scoccherà l’ora della vendetta: «Io non mi tirerò indietro» giura Ameneh.
Elisabetta Rosaspina