A Pescara Tra le famiglie ospitate negli hotel sul mare. «Costi troppo alti». Disertata la Caritas
PESCARA — Alcune famiglie, già adesso, vanno alla mensa della Caritas: il loro turno, alla sera, è due ore prima di quello dei clochard. Fusilli al ragù nei piatti di plastica bianchi come i tavolini e le sedie: però quasi tutti gli sfollati dell’Aquila preferiscono mangiare in albergo, strutture che il governo ha preso in «pensione completa ». Solo che «tra una settimana non potremo più garantire i pasti. Costi troppo alti per noi —spiega il presidente di Federalberghi Abruzzo, Emilio Schirato — un flusso di denaro in uscita che non possiamo più sostenere. Il governo si muova, il sistema creditizio ci aiuti, servono diecimila euro per ogni albergo».
Giusta la solidarietà, però costa. A parte la Caritas, certo. Gli sfollati aquilani sul lungomare di Pescara li riconosci, sono quelli fermi sulle panchine, alcuni coi cerotti in testa, altri stretti nelle giacche a vento a guardare in terra, e tutti rimangono sotto un sole quasi estivo, con intorno i pescaresi che vanno con le infradito ai piedi, le bici, l’aria leggera. L’esatto opposto di Maria Antonietta Caporaso, 35 anni: con il terremoto ha «perso tutto» e adesso, lì in viale Riviera Nord, si rivolge alla sorella e chiede di continuo cosa succederà «se domenica ci cacciano da qui». Tutti la rassicurano, le dicono di no, macché, eppure lei insiste: «E allora perché la voce gira?». Chissà.
Berlusconi continua a dire ai terremotati di trasferirsi sulla costa, ma gli albergatori da queste parti hanno fatto i conti e adesso temono di fallire. «Possiamo resistere ancora una settimana — dice Schirato —due al massimo, poi non potremo più farli mangiare». La solidarietà, d’accordo: ma «mica tutto può ricadere sulle spalle del settore alberghiero…». Ora, sia chiaro: qui a Pescara i negozianti, gli studenti, tutti, cercano di dare una mano, di portare vestiti, saponi, aiuti. Per esempio, Valeria Rotondi e Flaminia Calabrese, studentesse: servono fusilli alla Caritas. Ma in pochi, tra quelli fuggiti dal terremoto, accettano di mangiare alla mensa. «I risarcimenti arriveranno — dice il presidente Schirato — ma ci preoccupa il presente: in alcune di queste strutture non c’è neanche il ristorante… ».
Trasferiti dall’Aquila sulla costa ci sono «settemila persone, ma aumentano di qualche centinaia ogni giorno». A Pescara, sul lungomare, c’è l’Hotel Maya, quattro stelle e trenta terremotati: «Siamo disposti a rimetterci, certo—dice Liberato Ruscitti, uno dei proprietari —e abbiamo fatto convenzioni con dei ristoranti, ma le spese sono comunque troppe». «Abbiamo già avuto disdette—racconta Vincenzo Traversa, Hotel Ambra—e per garantire i pasti dovremmo prendere un mutuo… ». Ogni albergo lo stesso concetto: «La crisi, le disdette — racconta Anna Maria Perfetti, Hotel Alba—e adesso non riceviamo aiuti né dallo Stato né dalle banche: non so quanto potremo andare avanti». È buio, le famiglie che hanno mangiato alla Caritas escono: sul marciapiede, all’angolo, ci sono i clochard in attesa di entrare.
Alessandro Capponi