«Qui tutti si ricordano la notte del terremoto: adulti, anziani e bambini» dice Emanuele Legge, psicologo
L’AQUILA — Facciamo il gioco dei sentimenti, proviamo a descrivere la tristezza. «C’è una donna che scappa e piange — dice Marica — e il corpo di un uomo è rimasto nudo lì sotto». È una bimba di quattro anni ed è sfollata nel campo di Bazzano; per lei la tristezza adesso è fatta così. «Ma parlava con grande serenità — assicurano gli psicologi che hanno raccolto le sue parole — nessun tono drammatico». Poi quella bambina ha disegnato la storia che aveva appena raccontato: si vede una figura femminile che si allontana, dagli occhi cadono grandi lacrime celesti, e a destra c’è una casa con dentro un corpo steso a terra. Gli esperti dicono che è giusto così.
I bambini disegnano. Nelle tendopoli abruzzesi, dopo il sisma che ha distrutto case e certezze, i più piccoli cercano di recuperare qualche briciolo di normalità: con carta, colori e un po’ di fantasia (Benvegnù-Guaitoli)
Spiegano che la bambina non parlava di cose che ha visto, ma di quello che ha sentito dire dai grandi, e soprattutto che va bene se lo racconta. «Qui tutti si ricordano la notte del terremoto: adulti, anziani e anche i bambini» dice Emanuele Legge, psicologo. Lui lo sa perché c’era: lavora all’Asl dell’Aquila e adesso è uno sfollato. In questi giorni, da volontario, sta assistendo gli altri profughi. «Invece di mettere tutto in un cantuccio per poi tirarlo fuori nei momenti critici — prosegue —, è meglio esprimere. Noi chiediamo ai bambini di inventare storie e favole. Alcuni parlano di fughe nella notte o del rumore terribile che hanno sentito. Ma è normale, e ha valore terapeutico». Del gioco dei sentimenti, ieri a Bazzano, faceva parte anche la descrizione della gioia: è una distesa di cuori, magari un po’ incerti, ma molto colorati. I bambini terremotati disegnano. Ognuno quello che si sente, non vengono indirizzati. Matteo ha fatto un prato fiorito. Laura racconta in diretta la sua opera: «Questo qui sopra è Gesù. Poi sotto ci sono tre bambini». Ma alla fine aggiunge un particolare, la figura di un uomo sulla sinistra che lancia in aria qualcosa. Sul retro, a mo’ di didascalia, scrive di che si tratta: «Che i bambini dicono a un bandito di lasciare la pistola e andare con loro».
Insomma, non tutti si ispirano alla tragedia che hanno appena vissuto. Però Leila, nata in Abruzzo da genitori macedoni, da due giorni riempie fogli con disegni di tende da campo: «Spostati, che non vedo bene» dice a chi si mette davanti al soggetto che sta cercando di copiare. Lo stesso che, coccolata da un team di Save the Children, ha disegnato Gloria, 9 anni: due grosse tende numerate, proprio come quelle che ospitano i profughi, ma circondate da farfalle multicolore, e poi un prato in fiore, il sole, le nuvolette azzurre. E ancora: c’è chi ha dipinto una grossa jeep, come quelle che circolano all’Aquila da giorni. C’è Davide, che ha messo le montagne dell’Abruzzo sullo sfondo, un elicottero in cielo e un’ambulanza a terra. È quello che vede quando si guarda attorno dal campo di Piazza d’Armi, dove abita ora.
Un altro bambino di quella tendopoli si è cimentato con le tecniche ad acquerello: su un cartoncino ha dipinto una casa nera, e non si sa se gli è scappata la mano oppure se è un effetto voluto, fatto sta che quell’edificio sembra tremare. Sopra c’è un volo di uccelli, neri anche loro. Ma in alto ha disegnato un bel sole che ride, e di lato un albero in fiore. «È riuscito a descrivere tutto — dice Italo Cassa, della Scuola di Pace, venuto all’Aquila per far disegnare i bambini —: in quel quadro c’è il dolore, ma ci sono anche vita e speranza».