Balotelli accolto con freddezza, nuove accuse a Zoro. E uno striscione contro la squalifica inflitta ai bianconeri
MILANO — Ma allora non era solo un’impressione. Ma allora il freddo non era solo quello del clima che in tre ore ha spostato Milano dal Nord Africa alla Svezia. Mario Balotelli entra in campo per il riscaldamento e San Siro, in teoria il suo stadio, non gli riserva un applauso particolare, non grida il suo nome, non fa nessuna differenza con gli altri 10 titolari al momento dell’annuncio della formazione. Il massimo che capita di sentire è qualche urletto quando il ragazzo dal numero 45 segna (a porta vuota) poco prima di rientrare negli spogliatoi per l’inizio della partita. Ma quella è la beata ingenuità dei ragazzini. Sì, perché al secondo anello della curva Nord stavolta non ci sono gli ultrà, ma mille studenti tra i 10 e i 13 anni della Provincia di Milano. Li ha riuniti l’Associazione Nuova di don Gino Rigoldi, dopo tre incontri sul «Tifo positivo» in collaborazione con la Provincia di Milano e la Gazzetta dello Sport.
Per i primi 20’’ci si può anche illudere che il pubblico pensi davvero alla partita, in fondo ci sono 13 mila doriani che tifano come ossessi (pure loro ignorando del tutto Balotelli) e bisogna bilanciarne l’impatto. Mario sta facendo il suo. A destra nel 3-4-3, parte un po’ contratto: qualche falletto, qualche appoggio sbagliato, poi però è il primo interista a fare qualcosa di pericoloso. Va via sulla destra e mette in mezzo un bel pallone per Ibra, senza fortuna. È in quel momento che gli ultrà dell’Inter espongono il loro striscione n˚ 1: «Non è una questione di pelle / Balotelli uno di noi. Zoro uomo di merda». Come dire: la prova che non siamo razzisti sta nel fatto che consideriamo Mario uno di noi, mentre Zoro (bersaglio di insulti a Messina) è solo uno che si è inventato delle accuse. Neanche il tempo di domandarsi a chi si riferiscano gli ultrà nello scrivere «noi», che arriva pronta la risposta. Striscione n˚ 2: «Juve-Lecce a porte aperte». Questa sì, che è bella: solidarietà agli ultrà (anzi no, a tutti i tifosi) della grande nemica che sabato sera a Balotelli avevano cantato e urlato di tutto.
A pensarci bene non c’è da stupirsi, trattandosi della curva che a ogni derby canta «Rossoneri ebrei» ai cuginetti del Milan. Ma di solito negli stadi vige una legge piuttosto tribale: prima la maglia, poi tutto il resto. Per cui, ad esempio (e non a caso gli ultrà juventini l’hanno citata come prova in questi giorni), ai neri della propria squadra non si urla buuuu, ma a tutti gli altri sì. Be’, niente. Se c’è da fare brutta figura, la solidarietà fra curve è più forte anche della più forte delle rivalità del calcio italiano. Ma gli ultrà italiani non sarebbero quello che sono se non regalassero la chicca finale. Al 38’ del secondo tempo Balotelli litiga con Stankevicius. E alla curva doriana non pare vero. Il coretto sulla mamma di Mario, trattenuto per quasi un’intera partita, finalmente può partire. Ogni cosa a suo posto.
Tommaso Pellizzari