Iniziativa in collaborazione con ibm. Il progetto «Blue Brain» vuole ricostruire un cervello artificiale per testare le nuove terapie
MADRID – Il procedimento si ispira a quello dei simulatori di volo: un cervello digitale manifesta i sintomi di alcune patologie gravi, come l’Alzheimer o il Morbo di Parkinson, e i ricercatori gli «somministrano» i medicinali di nuova creazione studiandone gli effetti sul monitor. La possibilità, affascinante soprattutto per le cavie in carne e ossa, attualmente in servizio nei laboratori farmaceutici, non è poi così aleatoria, se continueranno a progredire il lavoro dell’équipe internazionale intorno a «Blue Brain», il primo e più avanzato studio per la ricostruzione artificiale della struttura cerebrale di un mammifero e delle sue reazioni. «Ci permetterà di condurre centinaia di migliaia di esperimenti senza mettere a repentaglio i malati» si entusiasma il coordinatore, lo spagnolo José Maria Peña, docente alla facoltà di informatica dell’Università Politecnica di Madrid. Intervistato dal quotidiano Abc, il cattedratico è convinto che il progetto apra la strada a una sperimentazione totalmente innovativa e dalle potenzialità quasi sconfinate: sarà possibile provare «tutti gli scenari clinici» e nuove strade per la cura di malattie neurodegenerative, tumori, schizofrenia, autismo.
UN PROGETTO PARTITO NEL 2005 – L’impresa è a buon punto, ma ancora abbastanza lontana dalla meta. Attualmente è stata ricostruita una piccola parte del cervello con risultati ritenuti «soddisfacenti» e l’intera neocorteccia cerebrale dovrebbe essere pronta entro il 2010. Il progetto «Blue Brain» risale al 2005, per iniziativa della Scuola Politecnica di Losanna e dell’Ibm La «cavia digitale», secondo i suoi creatori, si trasformerà in uno strumento informatico indispensabile alla ricerca medica e fornirà risposte anche a molti dei grandi enigmi dei neuro-scienziati sul funzionamento del cervello umano, sulle sue differenze o similitudini con quello di altri mammiferi. Si presenta, su scala mondiale, come il primo tentativo di «ingegneria inversa» (che ricava informazioni partendo da un prodotto finito e smontandone i componenti) applicata al cervello dei mammiferi.
Elisabetta Rosaspina