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«Acqua contaminata da un rubinetto su quattro»

 

Le analisi dell’Università di Napoli. L’igienista: rischi solo se l’assunzione è prolungata. Ricerca su 50 città in 17 regioni. Dai derivati del cloro ai batteri, le sostanze pericolose

 

(Azimut)

Ma che cosa esce dai nostri rubinet­ti? Inquinanti chimici derivati dalla clo­razione e colibatteri che invece non do­vrebbe esserci. Lo studio della seconda università di Napoli, di cui il Corriere aveva anticipato i primi risultati nel­l’agosto 2008, è andato avanti e si è al­largato a 50 città italiane in 17 Regioni. La sorpresa è stata la comparsa anche di batteri che proprio la disinfezione (clorazione) dovrebbe eliminare.

L’obiettivo era quello di esaminare la qualità delle acque che si bevono: quelle dei rubinetti di abitazioni e quel­le minerali imbottigliate in Pet (le clas­siche bottiglie di plastica) di 24 diffe­renti marchi, corrispondenti al 73% del mercato. In totale oltre 35.000 analisi. Nelle città principali (Milano, Torino, Napoli, Roma, Venezia, Bari, Grosseto, Firenze, Pavia, Vercelli, Novara, Bolo­gna, Genova) i campioni prelevati dai rubinetti sono stati almeno una venti­na in case di zone diverse. Massimiliano Imperato, docente di Idrologia e Idrogeologia dell’università Federico II di Napoli e Direttore del Ce­ram (Centro europeo di ricerca acque minerali), è il coordinatore dello stu­dio. Spiega: «I risultati ottenuti indica­no elementi di criticità igienico-sanita­ria nelle abitazioni, dovuti soprattutto alla presenza di contaminanti di natura chimica (composti organo alogenati e trialometani) e microbiologica».

Quali sono le criticità individuate? Imperato riassume: «La presenza in un caso su 4 (circa 25% dei campioni di ac­qua potabile analizzata al rubinetto di casa) di contaminazione fecale proba­bilmente per una scarsa manutenzione delle tubature o dei serbatoi privati. In questi casi il ‘carico’ di cloro si rivela insufficiente per una completa disinfe­zione delle acque». Il secondo elemen­to di criticità è la presenza quasi siste­matica di trialometani (per esempio cloroformio) e di composti organoalo­genati (trielina, percloroetilene, diclo­roetano). Sottoprodotti chimici della pur fondamentale clorazione: i residui della reazione tra le sostanze presenti nell’acqua (sostanza organica, carica batterica e organismi patogeni) e addi­tivi disinfettanti. Più cloro, più sotto­prodotti «inquinanti».

Ovviamente questi dati riguardano solo i campioni esaminati. «Sì — dice Imperato — ma dovrebbero indurre a fare controlli proprio ai rubinetti e non solo a monte». I gestori degli acquedot­ti, infatti, devono per legge assicurare la disinfezione delle acque fino al con­tatore. Dopo i controlli andrebbero ri­chiesti dagli amministratori dei condo­mini, dai proprietari delle abitazioni. Eppure, sarebbe meglio valutare l’ac­qua proprio al rubinetto. L’eccesso di cloro da che dipendereb­be? Spiega Imperato: «In reti di distri­buzione molto lunghe e articolate, vi sono difficoltà nell’individuare il mini­mo dosaggio utile capace di assicurare la necessaria disinfezione delle acque evitando, allo stesso tempo, la forma­zione di sottoprodotti». I trialometani, in particolare, che mostrano forti varia­zioni di concentrazione nelle acque po­tabili in base alle stagioni. Quando è caldo occorre più cloro per disinfettare le acque. «Per questo andrebbero effet­tuati — insiste Imperato — almeno 4 controlli annui, e non uno solo come prevede la normativa». La distribuzione geografica dei con­taminanti mostra una netta prevalenza dei composti organo alogenati (te­tracloroetilene e tricloroetilene) nel Nord-Italia. Nelle Regioni del Sud (Pu­glia e Calabria) prevalgono i trialometa­ni, in particolare il cloroformio. Il bro­moformio è più presente nelle zone co­stiere della Toscana, bassa Liguria e Pu­glia ionica. I numeri: il 32,82% dei cam­pioni da rubinetto presenta limiti oltre la norma di composti organoalogenati; il 72,82% di trialometani; il 77,44% di entrambi.

Il problema è nei limiti am­messi. C’è disputa tra gli esperti sulle dosi minime tollerabili. E i batteri fecali? Dice Imperato: «Contaminanti di origine microbiologi­ca sono stati riscontrati nel 24% dei campioni da rubinetto analizzati». In particolare nel 5,56% è stata rilevata la presenza di Escherichia coli, nel 18,52% di Coliformi totali, nell’11,11% di Enterococcus faecalis. Inoltre nel 2% è stata rilevata la presenza di Pseudo­monas aeruginosa, nel 15% di Aeromo­nas hydrophila. Conclude Imperato: «In nessun caso è stata rilevata la pre­senza di indicatori di contaminazione fecale o ambientale nelle acque minera­li imbottigliate».

I rischi per la salute? Risponde Mar­co Guida, Igienista e tossicologo: «Re­centi studi hanno mostrato una correla­zione tra l’assunzione prolungata di ac­que clorate e l’aumentato rischio di cancro a prostata, vescica e retto». C’è poi la tossicità per fegato e reni. Infine, tracce di medicinali. «Mini­me — dice Matteo Vitali, chimico igie­nista de La Sapienza di Roma — ma che superano i depuratori del sistema fognario. E alla fine finiscono nei fiu­mi, nei laghi, in mare, nel suolo». Qua­li farmaci? Antibiotici, ansiolitici, an­ti- infiammatori. «Tant’è — aggiunge Vitali — che dal punto di vista normati­vo le aziende farmaceutiche dal 2000 devono anche presentare dossier relati­vi all’impatto ambientale dei principi attivi».

Mario Pappagallo

«Acqua contaminata da un rubinetto su quattro»ultima modifica: 2009-05-12T11:15:51+02:00da
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