Dal carcere. Il giovane viene esortato dal padre a prendere il suo posto «per il bene della famiglia» criminale
NAPOLI – Lettere dal carcere ai tempi della camorra. Una lettera per lasciare al proprio rampollo l’«eredità» criminale e trasmettergli lo «scettro» del comando.
CAMORRA VESUVIANA – Un boss della camorra della zona vesuviana scrive dal cella in cui è recluso al figlio, poco esperto dei fatti e della dinamica della malavita, e gli dà una sorta di investitura, cedendogli «per il bene della famiglia» (ovvero del suo clan) – il proprio nome di battesimo ed un bracciale che egli ritiene simbolo del comando. È lo spaccato di camorra che emerge dalle indagini dei carabinieri del comando provinciale di Napoli che hanno portato all’emissione di 64 ordinanze di custodia cautelare da parte della magistratura, eseguite la scorsa notte. Protagonista di questa vicenda è Giuseppe Orefice, capo dell’omonima cosca, federata con le famiglie Arlistico e Terracciano.
LETTERA SEQUESTRATA – I carabinieri hanno sequestrato la lettera, spedita dal carcere da Giuseppe Orefice al figlio, nella quale il boss impartisce ordini e direttive che appaiono come una vera e propria «investitura» camorristica. Quasi la trasmissione di un reame al proprio diretto discendente, come un re. Ma è anche una sorta di manifesto della camorra napoletana nel quale un capo impone al proprio figlio, evidentemente poco incline ad interessarsi di faccende della malavita, di piegarsi alla logica del malaffare e del crimine organizzato. Il giovane viene esortato dal padre a prendere il suo posto «per il bene della famiglia» criminale. «Un valore elevato – osserva il gip che ha emesso l’ordinanza – che sovrasta tutti gli altri valori, sia etici che morali». Con la lettera, Giuseppe Orefice trasferisce al figlio il proprio nome – si dovrà da quel momento in poi chiamare Peppe come il padre – gli impone di comportarsi come un camorrista ed avrà per questo il segno riconoscibile del comando, un bracciale che gli viene ceduto come simbolo del potere. «Da oggi in poi – scrive Orefice al figlio – ti chiamerò Peppe e per tutti sarai me. Ti regalerò il mio bracciale che molti mi hanno chiesto, ma che io consegno a te».
Vito Faenza