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L’ottantenne e il cancello negato Sedici anni passati in tribunale

 

L’anziano si rivolse nel 1993 al giudice per stabilire il diritto di passaggio sotto casa. E i processi continuano, «L’ultima causa rinviata al 2014, ma ci sarò ancora?»


MILANO — Come complicarsi la vita restando intrappolati per 16 anni in un ginepraio di processi e con la prospettiva certa di dover aspettare parecchio ancora prima di uscirne. La giustizia civile italiana è stata un’odissea per un arzillo 80enne che nel ’93 si rivolse a un giudice per stabilire chi, tra lui e il Comune, avesse ragione su un banale diritto di passaggio. Quando pensava che fosse tutto finito, o quasi, qualche giorno fa si è visto rinviare l’ultima causa in Appello a Milano: per le conclusioni, cui seguirà la sentenza, l’appuntamento è per il 25 febbraio 2014, ore di rito. Puntuali, per chi ci sarà. Un’intricata vicenda che certo non rappresenta un record, molte altre hanno raggiunto primati peggiori, ma che dimostra, semmai ve ne fosse bisogno, come gli arzigogoli delle toghe, le cause e le controcause, possono trasformare una questione bagattellare in un groviglio in cui diventa difficile districarsi persino per i protagonisti. Quello di questa storia è, suo malgrado, Filippo Marsiglione, classe 1930, che negli anni Sessanta lasciò Catania per fare il restauratore di quadri antichi a Milano. Resistette una ventina d’anni prima di fuggire dal caos e dallo smog rifugiandosi a Castelmarte, ameno paesino di 1.200 anime a 450 metri di altitudine nelle Prealpi in provincia di Como, dove comprò una casa medioevale adiacente al Comune con un bel portico attraversato tutti i giorni dai compaesani che andavano in Municipio. Quando il viavai gli diventò fastidioso, Marsiglione reclamò il diritto di chiudere il passaggio e si finì in giudizio. Ci vollero sei anni per la sentenza di primo grado con la quale il tribunale di Como gli diede ragione, ma solo in parte: divieto d’accesso ai cittadini, via libera solo a Sindaco, consiglieri e impiegati. Marsiglione ricorse in Corte d’appello che, nel 2002, escluse gli impiegati obbligandoli ad accedere con il pubblico dall’altro unico ingresso. Nove anni per una causa fino all’Appello non sono poi tanti in Italia, se le cose fossero finite lì. Invece parallelamente si innescarono una serie di cause con i protagonisti (Comune, un vicino, Marsiglione) che di volta in volta indossavano vesti diverse, spesso per questioni minime, di puntiglio e ripicca oppure già chiarite. La disputa divenne addirittura un fatto politico al punto che dopo l’appello del 2002 in paese ci fu una raccolta di firme perché con la chiusura ai comuni mortali il Municipio era inaccessibile visto che l’altra entrata non era al momento agibile. Ma chi glielo ha fatto fare a Filippo Marsiglione a imbarcarsi in questa storia pluriennale? «Credo nella giustizia e non sono un attaccabrighe. Voglio che a darmi ragione sia la legge» è la risposta. Ingenuo. Tutto questo, tra avvocati, periti e ricorsi gli è costato un patrimonio: «Circa 100/150 mila euro, i risparmi di una vita di lavoro» compresi i 10.000 che ha dovuto spendere per mettere su il cancello che gli ha fatto recuperare la tranquillità che cercava, almeno a casa sua. Ma dopo il rinvio al 2014 di una delle ultime cause collaterali, anche l’incrollabile fiducia di Marsiglione nel sistema giustizia vacilla: «Quello che mi sconcerta è che la causa è fatta, praticamente chiusa. Potrei avere ragione o torto, ma alla mia età il tempo è prezioso. Forse nel 2014 non ci sarò più. È legge di natura». Il punto è che questo accade nella terza sezione civile d’appello di Milano, dove non è che stanno proprio con le mani in mano. Otto giudici presenti su 10 in organico si spartiscono una media 300 processi di primo grado a testa da riesaminare completamente, con i nuovi arrivi che aumentano di anno in anno. «La verità è che c’è una quantità ingestibile di cause anche per le cose più piccole e non si fa niente per incidere sulla velocità dei processi», dichiara il giudice Assunta Montoro che si è occupata della vicenda Marsiglione fissando la lontana udienza e che reclama almeno riforme a costo zero. «Basterebbe, per esempio, non obbligare a fissare udienza per le conclusioni, che vengono già depositate scritte dagli avvocati». Un’udienza vuol dire giudici (tre per collegio), impiegati e cancellieri al lavoro. «Abbiamo provato a delegare giudici ai tentativi di conciliazione per ridurre i processi. Il successo è stato scarso», afferma il presidente della sezione Baldo Marescotti che si rammarica per il fatto che la gente non si rende conto che «è meglio un accordo che lascia l’amaro in bocca piuttosto che una causa che dura anni e può costare tantissimo». Là dove hanno fallito le varie modifiche alle procedure susseguitesi negli anni, che non sono riuscite ad influire minimamente sui tempi della giustizia reale, quella di tutti i giorni e della gente comune, dovrebbe avere successo la riforma varata nei giorni scorsi, che punta anche proprio sulla conciliazione, almeno così assicura, e spera, un convinto ministro della giustizia Alfano. Auguri.

Giuseppe Guastella

L’ottantenne e il cancello negato Sedici anni passati in tribunaleultima modifica: 2009-07-07T13:07:12+02:00da
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