L’inchiesta. Il caso degli appalti del gas, ex manager Snamprogetti: «Così si aggirava il codice anti-corruzione»
MILANO – Dopo il ciclone Mani pulite del 1992-1993, ancora gli stessi sistemi corruttivi per un altro decennio, almeno dal 1995 al 2004 negli appalti sul gas nigeriano: soltanto, appena più sofisticati. Con l’aggiramento, da parte di società del gruppo Eni, del codice etico anti-tangenti che il colosso dell’energia si era dato proprio per voltare pagina con la gestione tangentizia degli «intermediari» scoperta da Mani pulite. E’ la severa accusa che la Procura di Milano muove nel decreto di perquisizione eseguita venerdì da Guardia di Finanza e Polizia nell’«area commerciale» e nell’«audit» dell’ex Snamprogetti (oggi incorporata in Saipem), partecipe al 25% del consorzio Tskj (con i francesi di Technip, gli americani di Kbr-Halliburton, e i giapponesi di Jgc) negli appalti da 6 miliardi di dollari per sei enormi impianti di estrazione e stoccaggio del gas liquefatto del giacimento nigeriano di Bonny Island. Ed è fondata, oltre che sui parzialmente noti atti dell’inchiesta americana conclusa con 7 anni di pena patteggiata dall’amministratore di Kbr, sull’inedito racconto che appena un mese fa dall’interno del gruppo Eni ha cominciato a fare ai pm milanesi un superteste: un ex manager di Snamprogetti, interrogato in giugno per tre volte nell’inchiesta che ipotizza «corruzione internazionale» nella quota italiana di tangenti a politici nigeriani pagate dal consorzio multinazionale Tskj per 180 milioni di dollari. Il nome del teste è mantenuto «coperto» dagli inquirenti, ma stralci d’interrogatorio sono riportati nella motivazione del decreto di perquisizione. E’ dunque anche su questa base che i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro considerano «che i comportamenti tenuti dai rappresentanti della Snamprogetti nel 1995-2004 appaiono improntati a deliberata elusione del codice etico che Eni aveva adottato dopo le vicende emerse all’inizio degli anni ’90, consistite nella creazione di fondi neri da parte delle società Snamprogetti e Saipem, utilizzati allo scopo di pagare provvigioni a intermediari all’estero» che facessero l’ultimo miglio del lavoro sporco, e cioè si incaricassero di smistare le tangenti ai destinatari di turno.
In Nigeria, Snamprogetti non operava direttamente: partecipava al consorzio Tskj, il cui comitato direttivo decideva quali «consulenti» (la Lng Servicoes nel paradiso fiscale portoghese di Madeira) individuare e finanziare, con soldi che poi l’entità portoghese a sua volta intermediava verso una società di Gibilterra (gestita dall’arrestato avvocato inglese Jeffrey Tesler) e una giapponese, penultime tappe del giro dell’oca delle tangenti fino ai destinatari nigeriani (dal presidente della Repubblica al ministro del Petrolio). Ed è qui che il teste dei pm spiega: «Il contratto con l’intermediario avrebbe dovuto essere approvato dal consiglio di amministrazione Eni o forse Snamprogetti», perché dopo Mani pulite l’Eni si era dato un «codice etico» che, «ripudiando pratiche di corruzione dirette o attraverso terzi per influenzare rappresentanti di governi o dipendenti pubblici», imponeva il passaggio in cda di tutto ciò che attiene ai delicati rapporti all’estero con «intermediari» e «consulenti». Ma «questo problema fu evitato perché il rapporto con gli intermediari non era in capo alle singole società del consorzio, ma a una società partecipata dalla joint venture, la cosiddetta Madeira 3».
A quel punto, per il via libera alle tangenti stanziate dal consorzio a beneficio dei famelici militari nigeriani, bastava la tacita e strategica assenza italiana nei momenti delle decisioni comunque approvate dall’esplicito sì del restante 75%: «In questo atteggiamento complessivamente defilato — aggiunge infatti l’ex manager —, rientra anche l’indicazione che venne data dalla direzione Snamprogetti di non partecipare alle delibere della Lng Servicoes quando era all’ordine del giorno il rilascio di una procura per la stipulazione dei contratti con Tesler o Marubene», i primi due intermediari dei soldi poi utilizzati per lo smistamento delle tangenti. E ad aprire nuove prospettive all’inchiesta milanese, che allo stato ha come indagati due ex manager di Snamprogetti e che ha solo 12 giorni di tempo per non far prescrivere l’eventuale responsabilità amministrativa della società sul contratto firmato il 31 luglio 2004 per il sesto impianto, sono le ultime righe dello stralcio d’interrogatorio che i pm hanno scelto di svelare: «Mi è stato comunicato nel corso della mia attività presso il consorzio — dice infatti il teste — che tutte queste indicazioni, in ordine al fatto di tenere un atteggiamento defilato, venivano dal top management».
Luigi Ferrarella
Giuseppe Guastella
ENI, Codice Etico e Servizi Segreti
Notizia tratta dal portale Indymedia al link:
http://piemonte.indymedia.org/article/5520
In una surreale seduta Straordinaria del Consiglio di Amministrazione dell’ENI (che trovate trascritta ed in originale) evocato il nome d’un fantomatico giornalista (Altana Pietro) e dei nostri Servizi Segreti Italiani
Stà scritto lì, nero su bianco, nel verbale del C.d.A. dell’E.N.I.:
“… l’11 giugno 2004 Abb denuncia alcuni manager dalla sua filiale milanese di occultamento di perdite di 70 milioni di euro e rassegna al PM Francesco Greco due nomi di propri dipendenti, tali Carlo Parmeggiani e Piarantonio Prior, che sarebbero coinvolti anche anche in una tangente al manager di Enipower Lorenzino Marzocchi. Mi chiedo per quanti anni ancora sarebbe andata avanti tale forma e genere di crimine se non ci fosse stata nel marzo 2004 l’indagine del professionista della stampa Altana Pietro (fonte ritenuta vicina ai Servizi Segreti) che ha fatto indagini su Enichem, Enipower, ABB; se non ci fosse stata la denuncia al Magistrato da parte di Abb, mi chiedo come possa essere motivato una tale procrastinazione di delittuoso comportamento, per altro verso una pluralità di commissionari, senza che, in più anni e sistemi di controllo aziendali interni siano riusciti ad intercettare alcunché…”.
Nigerian Gate: l’ENI pagherà cash 254 milioni di $ al Department of Justice USA
Articolo/scoop tratto dal portale Indymedia al link:
http://piemonte.indymedia.org/article/7884
Negli Stati Uniti, dove la corruzione – specialmente quella finanziaria – si combatte per davvero e non a parole (come in Italia) per l’ENI è in arrivo una mazzata da paura. Per le tangenti in Nigeria pagate dal Consorzio TSKJ, l’ENI ha tempo fino a fine marzo 2010 per definire un’eventuale transazione, poi scattano i procedimenti giudiziari in USA e le sanzioni (pesanti). E poi ci sono anche le indagini in Italia. Ma quelle non impensieriscono nessuno.
Si decidevano le mazzette da versare ai politici nigeriani ed i destinatari nel corso di “incontri culturali”, all’ombra del Big Ben o sorseggiando un thè in quel di Backer Street a Londra. La “gang” dell’LNG (gas naturale liquefatto) meglio conosciuta come Consorzio TSKJ è purtroppo n’altra sciagurata joint venture – sarebbe meglio dire associazione per delinquere di stampo transnazionale – composta dall’italiana ENI/Snamprogetti/Saipem, l’americana KBR/Halliburton, la giapponese IGC e la francese TECHNIP.
Per non dilungarci oltre puoi leggere quì per un approfondimento:
“Tangenti in NIGERIA: eccome come l’ENI pagava!”
http://piemonte.indymedia.org/article/5988
Il Dipartimento di Giustizia USA avrebbe deciso di andare a fondo nella Nigerian Connection e punire esemplarmente tutti i corruttori del cartello. Ecco perché adesso l’ENI ha una fretta fottuta di chiudere i procedimenti americani prima che questi possano sortire effetti disastrosi. Lo scandalo come sapete ha coinvolto Snamprogetti Netherland BV (controllata direttamente dall’ENI) e ha tirato in ballo inevitabilmente l’ENI stessa, in quanto società quotata al NYSE e per “culpa in vigilando” rispetto alla sua controllata. Come ha osservato astutamente l’Avv. Massimo Mantovani – responsabile Ufficio Legale dell’ENI – in un Memorandum riservato circolarizzato ai vertici della società energetica in una recente del cda (che trovate di seguito riprodotto e trascritto) l’Eni è giustamente preoccupata anche per le “… le conseguenze mediatiche e reputazionali”. Il memorandum confidential di cui trattasi titola “Nota di Aggiornamento Indagini Vicenda TSKJ – Riservato”. Quando Paolo Scaroni (CEO dell’ENI) l’ha letto tutto d’un fiato e ha sudato freddo. S’è gelato il sangue nelle vEni. Detto in soldEni quì la cosa è grossa. Si tratta di scucire 240 milioni di dollari entro fine marzo 2010 al Department of Justice americano. Pena l’avvio dei procedimenti giudiziari ed il conseguente sputtanamento planetario (KBR ha già transatto con il DoJ per 600 milioni di $ cash e Technip/IDP idem con patate).
No problem ha esordito Scaroni “…si può ragionevolmente ritenere di poter accelerare le trattative col DoJ e con la SEC … con l’obiettivo di identificare entro il mese di marzo una possibile intesa…” (che problema c’è tanto Scaroni scucirà 240 milioni di $ di soldi pubblici mica di tasca sua … che gliè fotte).
I legali americani che hanno per le mani la patata bollente dell’ENI, i lawyer Sullivan & Cromwell, son stati perentori. O l’ENI paga cash – e senza tante discussioni – 254 milioni di $ al Dipartimento di Giustizia USA, o per l’ENI son cazzi amari. In tutti i sensi. Negli Stati Uniti la giustizia funziona ancora discretamente e i reati di corruzione son fortemente perseguiti (ne sa qualcosa Bernie Madoff) non come in Italia dove l’ENI ha sempre potuto contare su una sostanziale impunità e l’ha sempre fatta franca (facciamo la conta delle tangenti e/o scandali ENI degli ultimi 20 anni?). In caso di avvio di procedimenti giudiziari americani, lasciando per un attimo in disparte “gli effetti negativi mediatici e reputazionali” per l’ENI sarebbe davvero la fine. La fine dell’acquisizione di altri contratti intanto. E poi il Department of Justice estenderebbe di sicuro l’azione giudiziaria ad altre società del Gruppo ENI a vario titolo coinvolte (allargando il contenzioso), con l’imposizione di severi meccanismi di monitoraggio dell’attività della capogruppo ENI da parte di organi esterni indipendenti (gli impatti operativi per l’ENI sarebbero devastanti). A cascata, le azioni giudiziarie contro l’ENI avrebbero inevitabilmente effetti negativi anche sul procedimento italiano. Non ultimo, le sanzioni economiche e pecuniarie (a cui comunque l’ENI sarebbe tenuta e obbligata) lieviterebbero a dismisura. Altro che 254 milioni di $.
In previsione, preparatevi al ritocchino sulle bollette del gas.
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“Memorandum” ENI al link:
http://piemonte.indymedia.org/attachments/mar2010/eni_informativa_riservatatskj_marzo_2010.pdf