L’ATTORE-REGISTA RICEVERA’ UN PREMIO. A Venezia la sfilata “parallela” dei personaggi improbabili
VENEZIA – Riuscirà Rambo a salvare la Mostra? Potenza della programmazione dei festival, a chiudere la sfilata degli ospiti eccentrici di questa Venezia 66, aperta da Patrizia D’Addario e chiusa da Noemi Letizia, con il fuori programma dell’«Hasta siempre presidente» Hugo Chavez, arriva Sylvester Stallone, che accompagna il suo Rambo (Director’s Cut) e – onore già toccato a cineasti più abituati a frequentare i festival di lui, come Takeshi Kitano, Agnes Varda e Abbas Kiarostami -, riceverà sabato sera il Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker Award, ovvero il premio che la Mostra del Cinema di Venezia dedica a «una personalità che ha lasciato un segno nel cinema contemporaneo». Con tanto di motivazione cinefila: «Un premio inteso a celebrare la dimensione di cineasta di Sylvester Stallone – spiega una nota -, autore di un cinema già visibilmente originalissimo e carico di tenerezza anche quando grondante di sangue. Attraverso le ormai mitiche franchise di Rocky e Rambo (suoi tutti i copioni), film sempre straordinariamente in sync con il loro presente, Stallone ha esplorato le zone più solari e quelle più cupe dell’American Dream. E il suo lavoro sul suo personaggio, rintracciabile anche in film apparentemente secondari o non diretti da lui, rimane uno dei più coerenti e lucidi del contemporaneo cinema Usa».
COME UN CIRCO – Come nella sceneggiatura di un’ipotetico Il festival più pazzo del mondo, al Lido sfilano veramente i personaggi più improbabili: la prostituta, pardon, l’escort d’alto bordo, il presidente che firma autografi e abbraccia il bambini, la stellina che chiama Papi l’altro presidente, ma fa fatica a coniugare i verbi e si fa assolvere da un accompagnatore del calibro di Milingo. Tutti arrivati senza l’invito della Biennale, mentre alla serata inaugurale i flash dei fotografi erano ipnotizzati dalla coppia Gregoraci-Briatore in babbucce, dalla mise di Simona Ventura, dagli Sgarbi e le martemarzotto ignorando Sandrine Bonnaire, Werner Herzog e persino Ang Lee. Ospite gradito della Biennale è stato Tinto Brass, che ne ha approfittato per presentare la sua nuova scoperta, Caterina Varzi, e lanciato l’ipotesi di un film con Noemi. Titolo? Grazie papi. Imbucata Paris Hilton, con invito Elisabetta Canalis. L’album di figurine di vip e dintorni è stato piuttosto gonfio. Inspiegabile l’assenza del mago Otelma e di Wanna Marchi (magari in permesso premio), mentre certamente qualcuno si sta attrezzando per una retrospettiva dedicata a Riccardo Schicchi. Sebbene il trentennale di Cicciolina amore mio cadesse quest’anno.
LA MOSTRA GENERA MOSTRI – E così in questa pazza pazza Mostra – piena, forse anche troppo di film di grande qualità, ma afflitta da un indotto che cresce a spese del prodotto, un contorno ingombrante e anche un po’ impresentabile che utilizza la Mostra, vittima incolpevole di cotanto trash carpet – Hana Makhmalbaf cammina con la sciarpa verde al collo intorno all’Excelsior. Senza che nessuno dei curiosi abbia voglia di aggiungere alla propria collezione di autografi, tra George, Hugo e Noemi, quello della regista ventenne che sta portando in giro per i festival del mondo il suo Green Days, accompagnandolo le immagini e le voci dei ragazzi dell’onda verde con parole semplici: «Non so dire cosa l’Occidente possa fare per aiutare il popolo iraniano che, ci tengo a dirlo, non vuole che voi pensiate che Ahmadinejad sia il suo rappresentante. Io ho fatto la mia parte: faccio film. Io sono una goccia nel mare, credo che ognuno nel proprio lavoro possa fare un piccolo passo».