Le richieste al gup. I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra il 1999 e il 2005, quando Fitto era presidente della Regione
BARI – Si è conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio per 78 dei 90 indagati la discussione dell’udienza preliminare a carico, tra gli altri, del ministro per gli Affari Regionali, Raffaele Fitto (Pdl), e dell’editore e imprenditore romano Giampaolo Angelucci. La richiesta è stata fatta dalla pubblica accusa al termine dell’udienza del procedimento «La Fiorita», che si celebra dinanzi al gup Rosa Calia di Pinto. All’udienza, che si concluderà il 30 novembre prossimo, è costituita parte civile la Regione Puglia.
I fatti contestati fanno riferimento al periodo compreso tra il 1999 e il 2005, quando Fitto era presidente della Regione Puglia, e si prescriveranno tutti entro il 2012. A Fitto, all’epoca dei fatti presidente della Regione Puglia, si contestano i reati di associazione per delinquere, peculato, concussione, corruzione, falso, abuso d’ufficio e illecito finanziamento ai partiti.
Il reato di corruzione contestato a Fitto ed Angelucci riguarda una presunta tangente di 500.000 euro pagata – secondo i pm – da Angelucci al movimento politico creato da Fitto per le regionali dell’aprile 2005, «La Puglia prima di tutto». Il danaro fu elargito – sostiene la procura – per ottenere dalla giunta regionale pugliese, nel 2004, l’aggiudicazione dell’appalto settennale da 198 milioni di euro per la gestione di undici Residenze sanitarie assistite (Rsa). Per questi fatti Angelucci, il 20 giugno 2006, fu posto agli arresti domiciliari per alcuni giorni; per Fitto, essendo frattanto divenuto parlamentare di Forza Italia, la magistratura barese chiese alla Camera l’autorizzazione a procedere all’arresto, richiesta che fu negata dall’aula di Montecitorio.
Secondo la difesa di Fitto, i reati contestati sono insussistenti, anche perchè il finanziamento elettorale ricevuto fu regolarmente registrato. «Gli atti documentano l’assoluta infondatezza delle accuse, come la difesa dimostrerà dinanzi allo stesso gup», afferma il difensore del ministro, Francesco Paolo Sisto. «Da circa 4 anni sulle vicende giudiziarie dell’onorevole Raffaele Fitto continuano ciclicamente ad essere date delle “non notizie”. Ogni passaggio meramente formale – lamenta Sisto – costituisce pretesto per intonare una cantilena che ricorda l’impianto accusatorio nei minimi dettagli». «Ecco quindi che la discussione di oggi, normale passaggio dell’udienza preliminare che si concluderà solo il 30 novembre prossimo, diviene, come in precedenza, occasione – secondo il legale – per ribadire che la Procura di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio di Fitto. Se siamo in udienza preliminare è ovvio che in precedenza c’è stata una richiesta di rinvio a giudizio: ciò nonostante gli atti documentano l’assoluta infondatezza delle accuse, come la difesa dimostrerà dinanzi allo stesso gup». «Rimane quindi ferma la fiducia – conclude Sisto – nella serena valutazione del giudice, sia pure nell’amarezza suscitata da questa ingiusta e sterile cantilena».
Prima della discussione il gup ha ammesso sette imputati al giudizio con rito abbreviato e per altri cinque, tra cui l’imprenditore campano Alfredo Romeo (accusato di turbativa d’asta e di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio), ha disposto l’invio degli atti alla procura di Roma per competenza territoriale. Ha inoltre respinto tutte le eccezioni del difensore di Fitto, l’onorevole Francesco Paolo Sisto (Pdl), relative alla inutilizzabilità delle intercettazioni e di alcuni atti d’indagine.
L’inchiesta fu un ciclone che si abbattè su direttori generali di Ausl pugliesi, funzionari pubblici e vertici del gruppo della cooperativa barese «La Fiorita» per l’assegnazione di gare d’appalto per i servizi di pulizia, guardiania, ausiliariato e smaltimento di rifiuti speciali in alcune Ausl. e portò nell’aprile del 2005 all’arresto di 14 persone.
Ad aprile scorso nella Procura di Bari arrivarono quattro ispettori inviati dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per accertare eventuali comportamenti irregolari nella conduzione delle due inchieste, a carico delle società «La Fiorita» e «Cedis», che vedono coinvolto il ministro Fitto. Contro l’ispezione ministeriale si scagliarono nove senatori del Pd, che in una interrogazione parlamentare firmata anche dai magistrati in aspettativa, Gianrico Carofiglio e Alberto Maritati, denunciarono «una interferenza nell’attività giurisdizionale, interferenza munita di un’oggettiva forza di intimidazione nei confronti dei pubblici ministeri, e soprattutto dei giudici che si occupano delle vicende che vedono come imputato il ministro Raffaele Fitto». Parole che suscitarono la dura replica dell’ex governatore pugliese che parlò di «casta togata che siede pro tempore sui banchi del Senato».