<MIND THE BRIDGE». Un concorso seleziona i migliori progetti italiani nel campo dell’innovazione. Per realizzarli in California
Esiste un posto nel mondo dove un fallimento imprenditoriale è considerato un titolo di merito per accedere a una cattedra: la Stanford University. In questo tempio del sapere, che sforna giovani in grado di decidere investimenti da milioni di dollari, si insegna a gestire il rischio, a diventare imprenditori partendo da zero. Logico che un fallimento in curriculum sia considerato la prima esperienza per insegnare al meglio la cultura di impresa. E non sarà un caso che attorno a questa antica e prestigiosa università si sia sviluppata la Silicon Valley, cuore dell’hi-tech mondiale, dove si concentra l’80% degli investimenti ad alto rischio degli Stati Uniti. La Silicon Valley più che un luogo è uno «stato della mente» votato alla sperimentazione e al rischio, il posto delle idee, dove progetti al limite della fantascienza, tra finanzieri visionari e scienziati eccentrici, trovano solide gambe per essere realizzati. In questo ecosistema dell’economia tanti italiani hanno raggiunto un posto di primo piano (i nostri ingegneri, ad esempio, sono ricercatissimi) ma niente o poco si è riusciti a esportare in Italia di quel modello imprenditoriale.
Negli ultimi anni qualcosa si è fatto, grazie soprattutto a un progetto non profit costruito intorno a un’idea ambiziosa, ma non impossibile: creare un ponte tra il talento italiano e le opportunità della Silicon Valley. «Ma, per favore, non parliamo di “cervelli in fuga”», anticipa Marco Marinucci, quarantenne manager di Google che della Mind The Bridge Foundation è fondatore e direttore esecutivo. «Il nostro obiettivo è dare visibilità alle idee italiane che hanno un ottimo potenziale di innovazione, ma che non sono allo stato ancora proponibili in un contesto internazionale. Il nostro compito è individuare queste idee e collegarle al primo investimento. Perché questo avvenga è necessario spostare la ricerca di capitali all’estero, dove il mercato è più ricettivo, senza però trasferire il cuore dell’attività dall’Italia». Come dire: Italia-Silicon Valley e ritorno. Una strada già intrapresa con successo da alcuni lungimiranti italiani, come Fabrizio Capobianco, fondatore e Ceo di Funambol, società italiana di sviluppo software, che ha trovato finanziamenti in California ma ha lasciato il proprio centro di sviluppo a Pavia dove lavorano circa 40 ingegneri e programmatori. «Avere ricerca e sviluppo in Italia è una scelta poco convenzionale perché il nostro Paese non ha fama di centro di eccellenza nel software», spiega Capobianco, «eppure i nostri ingegneri sono tra i migliori al mondo. Avere capitali americani e cervelli italiani è una ricetta vincente».
UNA PLATEA DI INVESTITORI – Il progetto Mind The Bridge ruota attorno al Venture Camp che viene organizzato una volta l’anno per selezionare il meglio del meglio che il nostro Paese offre nei settori più disparati dell’innovazione: dalla medicina alla sicurezza, dalle telecomunicazioni alle energie rinnovabili, alle piattaforme web per il tempo libero. Durante il Venture Camp, che quest’anno si terrà presso il Corriere della Sera a Milano il 6 e 7 novembre (con video diretta streaming on line), verranno presentate 14 realtà imprenditoriali italiane, selezionate tra quelle che si sono iscritte inviando il proprio business plan al sito web. Nella due giorni i progetti saranno illustrati a una platea di investitori italiani e internazionali. Alla fine, verranno scelte le 5-7 migliori idee imprenditoriali italiane con ambizioni globali che saranno portate in Silicon Valley e affidate a mentori che aiuteranno le aziende ad emergere e a trovare investitori pronti a scommettere sullo sviluppo dei progetti. L’evento finale è previsto in aprile 2010 quando a San Francisco verrà proclamato il vincitore della «Mind the Bridge Business Plan Competition 2009-2010». Tra gli speaker presenti all’appuntamento milanese ci sarà anche Alberto Sangiovanni Vincentelli, docente alla University of California, Berkeley. «L’ecosistema della Silicon Valley», dice, «è un esempio per capire come un sistema imprenditoriale basato su innovazione e tecnologia si possa sviluppare e crescere, ovviamente tenendo sempre presenti le proprie competenze locali particolari». Uno dei pionieri dell’«oro italiano in Silicon Valley» è Roberto Crea, biologo di fama internazionale, inventore dell’insulina sintetica e fondatore di aziende di successo nel campo farmaceutico. «La Silicon Valley», sottolinea Crea, Ceo di ProtElix e CreAgri, «con i suoi molteplici esempi di italiani che hanno raggiunto il successo scientifico e imprenditoriale è una opportunità unica di collaborazioni, elaborazioni di modelli di ricerca e applicazioni industriali. È giunto il momento che anche in Italia si identifichino e si eliminino le problematiche che impediscono a una piccola società di alti contenuti tecnologici di crescere e diventare fonte di ricchezza per il Paese. Negli ultimi 20 anni siamo stati in parecchi dagli Stati Uniti a puntare il dito sui vari problemi italiani, spesso pagando sulla nostra pelle l’aver tentato di scavalcare o eliminare questi ostacoli. Adesso, viviamo nella speranza che i nostri rappresentanti politici abbiano la volontà e la spazio per cambiare in modo incisivo». Vedremo se i tempi sono maturi per rilanciare anche in Italia un modello imprenditoriale in grado di sorreggere con coraggio le idee e l’innovazione.
I NUOVI MENTORI – In attesa che le cose cambino, Mind the Bridge porta avanti la sua missione: fornire opportunità ai talenti italiani, creando condizioni concrete per fare camminare il business. Un’idea nata tre anni fa in un posto molto lontano dalla ordinata e asettica Silicon Valley: «Allora lavoravo, per conto di Google, a un progetto abbastanza simile, ma in Ghana, in Africa», ricorda Marinucci, «Lì mi sono reso conto dell’impatto incredibile che può avere un’attività ben fatta di mentoring. È stato allora, probabilmente, che nella mia testa è scattato il primo clic». L’Italia non manca certo di talento: siamo in grado di fare innovazione a 360°. Il problema è semmai la frammentazione, la mancanza di punti di contatto tra aspiranti imprenditori e la comunità degli investitori. E quando mancano i collegamenti un «ponte» può essere l’arma vincente
Marco Pratellesi