Il caso Nel mirino l’ad di Vodafone Vittorio Colao. L’azienda ha ceduto azioni solo a neri
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I manifesti che criticano Vittorio Colao |
MILANO — Il manifesto è più che eloquente: una fotografia in primo piano di Vittorio Colao, circondata dalla frase «Ricercato per razzismo». Così, dalla scorsa settimana l’amministratore delegato del gruppo Vodafone si trova al centro di un’offensiva che, per certi aspetti, sta facendo riemergere in Sudafrica la vecchie ferite lasciate dall’apartheid. Il paradosso è che a lanciare la campagna «Boicottate Vodafone!» è John Kerlen, esponente di quel South Africa’s Cape Independence Party che è espressione di un piccolo gruppo di irriducibili afrikaaner di estrema destra. Gli è bastato diffondere via internet un’email con le accuse a Colao per innescare un dibattito che ogni giorno vede aggiungersi decine di blog, di messaggi, di dichiarazioni che viaggiano su Facebook e altri siti di social networking.
Nel mirino di Kerlen c’è la decisione di Vodacom, la società al 65% di Vodafone che è il primo operatore mobile in Sudafrica e ha attività anche in Tanzania, Lesotho, Congo, Mozambico, di destinare il 3,44% di proprie azioni alla comunità di colore. Una sorta di sistema di quote che porterà la «black community » sudafricana ad aumentare la partecipazione in Vodacom dall’ 1,9% che aveva nel 2007 al 6,97% previsto entro la fine di quest’anno. Una scelta inaccettabile per il Cape Independence Party. «La nostra costituzione vieta ogni forma di discriminazione per razza, fede religiosa, abitudini sessuali – scrive Kerlen – . E in questo senso la decisione di Vodacom appare assolutamente discriminatoria » .
Dal quartier generale di Newbury, vicino a Londra, Colao preferisce non commentare. Ma i suoi collaboratori spiegano che la società africana di Vodafone non ha fatto altro che applicare le norme previste dalla Bee (Black Economic Empowerment), la legge varata nel 1994, all’indomani della fine del regime di apartheid, secondo cui per poter operare in Sudafrica le aziende devono agevolare la partecipazione della comunità di colore alle attività economiche. «Niente vieta comunque ai bianchi di acquistare le nostre azioni direttamente sul mercato», sottolineano in casa Vodafone. La stessa tesi, del resto, sembra condivisa dalla maggioranza dei sudafricani che stanno rispondendo via internet ai messaggi di Kerlen. Un esempio su tutti: «Contestare la scelta di Vodafone significa tornare alle contrapposizioni razziali che ci siamo lasciati alle spalle tanto tempo fa», scrive Victor MacKlenin, che si definisce «un uomo d’affari di Cape Town».
In realtà, la nuova offensiva della destra afrikaaner appare nient’altro che il seguito di una campagna innescata l’anno scorso contro un’altra decisione di Vodafone, ritenuta particolarmente grave dal Cape Party. All’inizio del 2008 Vodacom ha infatti attribuito consistenti quote di capitale a Yebu Yetho e a Royal Bafokeng, due particolari «fondi sovrani» che rappresentano gli interessi di alcune minoranze etniche della «black community» sudafricana, e che investono i proventi di diverse attività economiche (innanzitutto quella mineraria) per destinarne poi i guadagni alle rispettive comunità.
Giancarlo Radice