Lo studente: «Il vero colpevole mi restituisca la vita». Ultimi interventi prima della camera di consiglio. «Raffaele chiamò la polizia per darsi un alibi»
Amanda Knox in aula |
PERUGIA – «Ognuno dei tre porcellini costruisce una casa: una di paglia, abbattuta dal lupo con un soffio; un’altra di legno, che il lupo fa crollare con una spalla; e la terza di mattoni, che resiste a tutti gli attacchi». Il pubblico ministero conclude il suo intervento in aula raccontando una favola. E paragonando «le prime due case» alle difese di Sollecito e di Amanda Knox. «La terza è la casa dell’accusa – sostiene Manuela Comodi – fatta di mattoni messi uno sull’altro che danno un assetto stabile e immodificabile». Altro che «una casa senza soffitto e senza cucina», insomma, come aveva affermato l’avvocato Bongiorno, citando la nota canzoncina.
REGGISENO – Al processo di Perugia per l’omicidio di Meredith Kercher, avvenuto il 2 novembre di due anni fa, la Corte sta per riunirsi in camera di consiglio. E in aula vanno in scena le ultime schermaglie tra accusa e difesa. Favole e citazioni a parte, il pm risponde ai legali di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Mostra un reggiseno, per ricostruire come è stato tagliato quello di Meredith (almeno secondo la ricostruzione accusatoria). In questo modo il pubblico ministero vuole contestare l’affermazione dei legali di Sollecito, i quali avevano chiesto come mai il Dna del giovane fosse stato trovato solo sul gancetto. Il pm colloca il reggiseno sullo stelo del microfono davanti a sé. Poi lo tira mettendo un dito sul gancetto. «È questa la manovra fatta da Sollecito quando il reggiseno è stato tagliato»
LA TELEFONATA – Il pm afferma inoltre che Raffaele Sollecito la mattina del 2 novembre 2007 chiamò il 112 per denunciare il furto cinque minuti dopo l’arrivo della polizia postale nella casa del delitto. Il pubblico ministero ricostruisce gli orari della chiamata in base alle telecamere del parcheggio di fronte al casolare di via della Pergola. «Sollecito chiama i carabinieri per allontanare da sé i sospetti – prosegue il magistrato -. Non serve una mente criminale per fare ciò. È come un bambino che rompe un soprammobile di pregio e va dalla madre per giocare d’anticipo: ‘mamma è caduto il soprammobile ma non sono stato io’».
«RIDATEMI LA VITA» – Poi tocca a Raffaele Sollecito leggere in aula la sua dichiarazione spontanea: «Non ho ucciso Meredith e non ero in quella casa. Ogni giorno che passa spero che il vero colpevole confessi. Vi chiedo di restituirmi la mia vita. So che lo farete perché, nonostante tutto, nonostante quello che sto vivendo sia molto pesante, ho ancora fiducia nella giustizia». «State per decidere della mia vita – dice Sollecito rivolto ai giudici – e qualsiasi parola dirò sarà meno di quello che sento. Non sto vivendo un incubo, ma sopravvivo a una situazione drammatica. Sono coinvolto in una vicenda assurda di cui non so nulla. Ho ascoltato il pm e non ho ancora capito quale sia il mio ruolo. Sento dire che Amanda ha ucciso Meredith per questioni legate all’igiene e agli uomini. Un quadro che stento anche solo ad immaginare. Vorrei capire perché io ho partecipato all’omicidio. Non trovo i motivi». Sollecito afferma di essere stato dipinto come un «cane al guinzaglio». «Mignini – prosegue – ha detto che ero Amanda-dipendente, ma l’avevo conosciuta solo pochi giorni prima del delitto. Ero molto affezionato a lei, ma si trattava di un legame tutto da verificare. Non esiste alcuna dipendenza – sottolinea ancora Sollecito – e se Amanda mi avesse chiesto qualcosa che non condividevo avrei detto no come mi era già successo con altri miei amici. Figuriamoci se mi avesse chiesto qualcosa di terribile come uccidere una ragazza». «Non sono mai stato un violento – ribadisce ancora Sollecito – non lo sono e non lo sarò mai».
NEW YORK TIMES – Intanto, i media americani tornano a sollevare dubbi sulle indagini di Perugia. Secondo il New York Times, non ci sono prove evidenti che Amanda Knox si trovasse sulla scena del delitto al momento del crimine. Il quotidiano americano, che paragona il processo a un «insulto» e alla «abitudine italiana di salvare la faccia», sostiene che Amanda e Raffaele Sollecito non avessero nessun motivo per uccidere Meredith e che quello tra le due coinquiline – diversamente da quanto sostenuto dai pm – fosse un normale rapporto tra studentesse. Secondo Timothy Egan, Amanda sarebbe in prigione da due anni a causa soltanto di alcuni suoi comportamenti inopportuni (come il bacio al fidanzato dopo il ritrovamento del corpo di Mez e la ruota sul pavimento fatta in procura), ma le prove contro di lei sarebbero inesistenti. Il NYT auspica una decisione che non sia influenzata da «pregiudizi medievali». «Se solo applicassero gli standard di uno stato di diritto – scrive ancora Timothy Egan – il verdetto sarebbe ovvio».