L’ATTENTATO A REGGIO. Le nuove misure del governo: l’Agenzia sui beni confiscati e più controlli sull’Expo
REGGIO CALABRIA – Per rispondere alla bomba che ha divelto un portone ma conteneva messaggi che andavano ben oltre i danni provocati, lo Stato si presenta a Reggio ai suoi massimi livelli: i ministri dell’Interno e della Giustizia, Maroni e Alfano, i capi e comandanti di polizia, carabinieri e guardia di finanza, i vertici degli uffici investigativi. Dopo la riunione del comitato nazionale per la sicurezza Maroni e Alfano annunciano rinforzi e programmi per sostenere l’azione contro la ’ndrangheta: 121 unità investigative in più, sei nuovi magistrati per rendere più incisiva e spedita l’azione degli uffici giudiziari, una strategia di contrasto alle attività economiche del crimine organizzato che parta dalla Calabria ma si estenda altrove (anche perché gli affari della ’ndrangheta non sono certo confinati a questa regione): Maroni conferma l’idea di insediare a Reggio l’Agenzia nazionale per i beni confiscati, pianifica nuove iniziative per impedire le infiltrazioni mafiose sugli appalti e spiega che a giorni riunirà a Milano la commissione per sorvegliare sui lavori dell’Expo 2015.
Tutto questo è conseguenza — per ora come annunci, occasione per ribadire che i beni sequestrati alle varie organizzazioni mafiose ammontano a circa 7 miliardi di euro — dell’attentato alla sede della Procura generale di Reggio Calabria, l’ufficio che gestisce la pubblica accusa nei processi d’appello; un passaggio importante dei procedimenti contro la ’ndrangheta (ma non solo). Le indagini per risalire a esecutori e mandanti passano anche per l’esame dei fascicoli pendenti o appena chiusi presso la Procura del secondo grado, per cercare di capire chi poteva avere interesse amandare l’avvertimento al «nuovo corso» inaugurato dal neoprocuratore generale Salvatore Di Landro. I carabinieri studiano le carte, mentre gli specialisti del Ris e del Racis provano a trarre ogni elemento utile dal filmato che ha ripreso i due attentatori giunti sul luogo dell’esplosione con uno scooter alle 4.49 della notte tra domenica e lunedì. I volti sono protetti dai caschi, ma è possibile che a guidare la moto fosse una donna, ipotesi basata sul dettaglio di una scarpa che sembra di tipo femminile. Sarebbe una novità per il modus operandi della ’ndrangheta, che aprirebbe nuovi scenari, e anche per questo gli investigatori sono cauti. È certo, invece, che l’uomo che deposita l’ordigno (confezionato con polvere pirica e non tritolo, come riferito all’inizio dell’indagine) prima accende la miccia e poi lo sistema davanti al portone: «Solo una persona molto esperta può assumersi un simile rischio» è stato spiegato nella riunione di ieri. La miccia ha bruciato per un minuto e quattro secondi, quando la bomba è esplosa lo scooter (sul quale l’attentatore è risalito quasi in corsa) era già lontano.
Gio. Bia.
corriere.it