MAFIA: «il covo di Riina non perquisito per un accordo». L’accusa: «Vedeva Provenzano e ha gestito soldi che appartenevano a Bontate». La replica: «è un pazzo»
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Vito Ciancimino con figlio |
PALERMO — «Sicuramente il Dell’Utri ha gestito soldi che appartenevano sia a Stefano Bontate che a persone a loro legate», dice Massimo Ciancimino riferendosi al senatore del Popolo della Libertà e al capomafia degli anni Settanta. Il pubblico ministero domanda da dove il figlio dell’ex sindaco corleonese di Palermo Vito Ciancimino tragga tanta sicurezza , ma la risposta è coperta da un lungo «omissis». Si riprende a parlare dei rapporti tra Marcello Dell’Utri e un altro boss, Bernardo Provenzano. Di che tipo erano? «Molto stretti, molto stretti… C’era rapporto diretto, tant’è che mio padre quando aveva bisogno di avere favori da quel partito che poi era nato (Forza Italia, ndr), bozze di legge, il punto di riferimento era sempre il Lo Verde», che poi sarebbe Provenzano.
Dice proprio così, Massimo Ciancimino, in uno degli oltre venti verbali riempiti in un anno e mezzo di interrogatori depositati al processo contro gli ufficiali del carabinieri Mori e Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato per la presunta mancata cattura dello «zio Binnu»: negli anni Novanta, tramite il latitante più longevo di Cosa Nostra, a suo padre all’epoca detenuto arrivavano i disegni di legge da discutere in Parlamento. Compreso uno presentato da alcuni deputati del centrodestra a favore della dissociazione dei mafiosi: «Fu fatto avere da Dell’Utri a Provenzano e Provenzano lo fece avere a suo padre?», domanda il pubblico ministero riassumendo quel che il giovane Ciancimino ha detto fin lì, e il testimone (imputato in un altro processo dov’è stato condannato per riciclaggio) conferma: «Sì».
Non si fermano dunque alla «trattativa» del 1992 le fluviali deposizionidel figlio dell’ex sindaco condannato per mafia morto nel novembre 2002. Parla di contatti e contrattazioni proseguiti anche dopo, di cui suo padre— dice— fu «agnello sacrificale» nella stagione in cui i partiti tradizionali furono spazzati via dalle inchieste giudiziarie e sulla scena politica irruppe Forza Italia, fondata da Silvio Berlusconi con l’apporto di Dell’Utri. Ciancimino jr riassume così, dopo un altro «omissis», i ragionamenti dell’ex sindaco: «Io vendo Riina, mi arrestano, e chi mi sostituisce, continua a dialogare col Provenzano e poi va alla fase della nascita di questo partito è Marcello Dell’Utri». Che suo padre non conosceva, a differenza del boss latitante.
CONTATTI DIRETTI DELL’UTRI PROVENZANO – I magistrati chiedono se ci sono stati colloqui diretti tra Provenzano e il senatore, e Massimo Ciancimino risponde: «Sì, erano stati fatti, l’amico gli aveva spiegato che si erano riuniti…», e il verbale torna ad essere segreto. Quale fosse il canale il testimone dice di non saperlo, ma «sicuramente era diretto… Mio padre parlava direttamente con Lo Verde (cioè Provenzano, ndr) e Lo Verde parlava con Dell’Utri. Questo è quello che mi ha riferito mio padre». Il quale commentava col figlio i pizzini in cui il boss discuteva, nel 2000, della possibile amnistia e di altre vicende: «Dell’Utri gli manda a dire che era stata fatta una riunione a tal proposito, che loro erano tutti d’accordo a votare l’amnistia da cui mio padre si aspettava tanto». Al giovane Ciancimino, però, non piace parlare di certi argomenti: «Come ho avuto paura a suo tempo, continuo ad avere paura adesso».
Racconta di strane visite di personaggi qualificatisi come carabinieriche gli consigliavano di non parlare della trattativa, e l’incontro avuto qualche mese fa a Parigi («era il giorno che dovevo prendere il papello», cioè il foglio recapitato nel ’92 con le richieste mafiose allo Stato per far cessare le stragi) col giornalista ex senatore di Forza Italia Lino Iannuzzi: «È un personaggio che mio padre conosceva da tempo, lo collocava vicino ad ambienti di Servizi… Mi ha chiesto spiegazioni in quello che era la trattativa…». L’attendibilità delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino è tutta da verificare, anche se i pubblici ministeri di Palermo lo ritengono credibile. Per questo lo porteranno a testimoniare nel processo contro Mori e Obinu, accusati di aver lasciato libero Provenzano, nel 1995; forse per i «patti» siglati con l’ex sindaco (e tramite lui con lo stesso boss) in cambio della cattura di Riina. Ipotesi che i due imputati, e con loro l’ex capitano Ultimo che mise le mani sul capomafia corleonese il 15 gennaio 1993, hanno sempre respinto con sdegno.
LE GARANZIE SUL COVO DI RIINA – Le «garanzie» sul covo di Riina Ma Ciancimino jr racconta un’altra storia, e spiega che quando si venne a sapere della mancata perquisizione del rifugio del latitante (episodio per il quale Mori e Ultimo sono stati già processati e assolti), suo padre commentò che così doveva andare: «Era una delle garanzie che mio padre chiese ai carabinieri, e che i carabinieri ovviamente diedero… Riina era solito vantarsi di tutta una serie di documentazione che conservava, perché se un domani lo avessero dovuto arrestare crollava l’Italia, succedeva un finimondo». Magari lo «zio Totò» bluffava, ipotizzavano Provenzano e Ciancimino, ma meglio non rischiare: «Una delle cose che bisognava fare era mettere al sicuro tutto questo patrimonio di documentazione».
Quanto ai colloqui tra i carabinieri e suo padre, il testimone riferisce che furono gli stessi ufficiali Mori e De Donno (quest’ultimo gli avrebbe promesso che su quei contatti sarebbe calato addirittura il segreto di Stato) a confermare all’ex sindaco che della «trattativa» erano informati gli exministri Mancino e Rognoni; facevano parte di governi diversi e hanno sempre negato, ma Ciancimino jr insiste nella sua versione, che include anche un abboccamento con l’allora parlamentare del Pds Luciano Violante, richiesto esplicitamente da suo padre. E dei contatti con l’Arma sapeva tutto (al pari di Provenzano) il misterioso «signor Franco», il «collettore» legato ai servizi segreti che pure s’incontrava con Ciancimino padre.
ALTRI POLITICI E I «MISTERI D’ITALIA» – Altri politici e i «misteri d’Italia» Nei pizzini inviati da Provenzano all’ex sindaco, tra i contatti è indicato anche un «pres.», un presidente, che secondo il figlio di Ciancimino sarebbe l’ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro. Di lui il testimone mostra di non sapere molto, ma ricorda: «Quando accompagnavo mio padre dall’onorevole Lima spesso rimanevo fuori in macchina, e c’era Schifani che guidava la macchina a La Loggia e Cuffaro che guidava la macchina a Mannino. I tre autisti erano questi… Gli altri due hanno fatto ben altre carriere, io no». Nei suoi interrogatori il giovane Ciancimino non si limita a parlare della trattativa degli anni Novanta e primi Duemila, ma distribuisce pure qualche rivelazione sui meno recenti misteri della storia italiana. Racconta del sequestro Moro, e svela un ruolo dei Servizi contrario a quello che si potrebbe immaginare: «Mio padre mi disse che era stato pregato, per ben due volte, di non dar seguito a delle richieste pervenute per fare pressione su Provenzano affinché si attivassero per aiutare lo Stato nella ricerca del rifugio di Aldo Moro ». Non volevano più cercare il presidente della Dc rapito dalle Brigate rosse, insomma, mentre due anni più tardi, nel giugno 1980, Vito Ciancimino — che secondo il figlio faceva parte della struttura segreta di «Gladio»—e i suoi contatti istituzionali (compreso l’ex ministro dc Attilio Ruffini, dice Massimo) vennero a sapere «della storia dell’aereo francese che per sbaglio aveva abbattuto il Dc9, e che bisognava attivare un’operazione di copertura nel territorio affinché questa notizia non venisse per niente… e qualora ci fosse stato bisogno di interventi di qualsiasi tipo, i Servizi dovevano poter contare su mio padre».
Giovanni Bianconi