Quattro indagati per fare spionaggio privato
NAPOLI – La «rete» comincia a prendere forma, la presunta centrale di spionaggio si arricchisce di nomi e di circostanze inquietanti. La svolta è arrivata la scorsa notte, quando la Procura di Napoli firma quattro decreti di perquisizione a carico di due esponenti della Direzione investigativa antimafia di Napoli, di un agente di polizia giudiziaria della Procura, di un cittadino comune. Gravi le accuse: per mesi, gli indagati (ma il numero è destinato a crescere in queste ore) avrebbero messo in piedi un centro di spionaggio, svolgendo indagini private per conto del migliore offerente. Forti di mezzi potenti e invasivi – gli archivi Dia, i sistemi di ricezione di clip audio e video – gli indagati avrebbero pedinato ignari cittadini, avrebbero studiato per ore «le vite degli altri», in cambio di compensi in denaro.
Accuse gravi, che attendono la replica difensiva, sostenuta dai penalisti Francesco Cioppa e Dario Russo, in una vicenda in cui è opportuno rispettare il principio di non colpevolezza delle persone coinvolte. Associazione per delinquere finalizzata «all’investigazione privata abusivamente esercitata», quattro indagati, dunque: Giuseppe Savarese, ritenuto capo promotore della presunta spectre; il collega sostituto commissario Dia Davide Di Paoli; l’agente di pg in Procura Domenico Salemme; sott’accusa anche un quarto personaggio, Antonio Marcello Migliore, legato a Savarese da un rapporto di amicizia. Inchiesta in corso, al lavoro i pm Enzo D’Onofrio, Raffaello Falcone e Pierpaolo Filippelli, pool guidato dall’aggiunto Rosario Cantelmo, che hanno affidato in piena sinergia investigativa accertamenti e perquisizioni al capocentro Dia Maurizio Vallone.
Qual è l’ipotesi degli inquirenti? Si parte dall’analisi di un tariffario, che avrebbe scandito l’attività illegale di agenti e presunti faccendieri: cinquanta euro l’ora per un pedinamento, prezzi a salire per le altre prestazioni professionali, in relazione ai posti (s’indaga su mission private anche in Brasile) e della difficoltà degli incarichi. Al momento, sarebbero stati accertati quattro o cinque incursioni nella sfera privata di persone non sottoposte ad indagini, target inconsapevoli di una rete di informazioni ritenuta abusiva. In alcuni casi, gli agenti si sarebbero introdotti all’interno di appartamenti privati, piazzando microspie e videoregistratori in domicili privati ed estranei a indagini autorizzate.
Una svolta nell’inchiesta scandita da colpi di scena: lo scorso settembre, l’arresto di Giuseppe Savarese, ex esponente del gruppo «Fedra», specializzato in Dia nelle indagini sui grandi appalti del comparto sicurezza, sui rapporti tra politica e imprese. Finisce in cella con l’accusa di aver maneggiato e reso pubbliche le schede personali di indagati della «appaltopoli» napoletana, in una vicenda culminata un anno fa negli arresti (poi revocati) dell’imprenditore Alfredo Romeo e di tre ex assessori comunali.
Da allora, si sono moltiplicati sopralluoghi e perquisizioni, a partire da un’ipotesi tutta da verificare: Savarese sarebbe stato a capo di una rete illegale, capace di accendere i riflettori (a pagamento?) sulle storie di tutti i giorni di notabili e uomini comuni. Indagine che rimanda a un sospetto inquietante: la disperazione dell’assessore Giorgio Nugnes, suicida a novembre del 2008, finito probabilmente al centro di fughe di notizie clamorose e illegali.
Ai carabinieri che lo arrestarono per gli scontri di Pianura, ma anche ai giornalisti incontrati il giorno prima di morire, Nugnes confidò il timore di essere finito nel mirino dei «servizi segreti». Disse che c’era chi «aveva i tabulati di tutte le sue telefonate», era angosciato dai «servizi segreti». Una domanda, a questo punto: Nugnes era finito nella rete dello spionaggio clandestino?
Leandro Del Gaudio