Operazione della Digos di Roma: «Volevano riprendere la lotta armata». Trovato manuale con le istruzioni per «militanti rivoluzionari»
Morlacchi e Virgilio ripresi durante un pedinamento della Polizia (Proto) |
MILANO – Questa mattina la Sezione Antiterrorismo della Digos di Roma, in collaborazione con la Digos di Milano, a seguito di lunghe e complesse indagini, ha tratto in arresto due persone, accusate di appartenere alle nuove Brigate Rosse.
I NOMI – Gli arrestati sono Manolo Morlacchi e Costantino Virgilio. Il provvedimento cautelare è stato emesso dal Gip di Roma, Caivano, su richiesta del pool antiterrorismo della Procura di Roma diretto dal Procuratore aggiunto, Pietro Saviotti. Sono accusati di far parte della associazione terroristico-eversiva, costituita in banda armata, denominata «per il comunismo Brigate Rosse». Entrambi lavoravano per un’agenzia di gestione archivi: Morlacchi con funzioni manageriali, Virgilio come dipendente. L’indagine che ha portato agli arresti era già scattata nel giugno scorso quando, a Roma e Genova, ci furono diversi arresti di presunti brigatisti e il sequestro di ingenti quantitativi di armi. Per i due l’accusa è di partecipazione a banda armata. I due sono stati prelevati dalle rispettive abitazioni milanesi. I due erano già indagati dal giugno dello scorso anno, quando le loro abitazioni vennero perquisite.
«VOLEVANO RIPRENDERE LA LOTTA ARMATA» – «L’ingente quantitativo di armi sequestrato e soprattutto la documentazione trovata nei sequestri di giugno quando furono arrestate 5 persone – spiega il dirigente della Digos di Roma Lamberto Giannini – ha comprovato l’intenzione di questo gruppo di riprendere il percorso delle Brigate Rosse e riprendere la lotta armata». Tra gli arrestati, spiega Giannini, abbiamo persone appartenenti alle Br, personaggi di spicco dell’indipendentismo sardo e poi Fallico che noi riteniamo stesse riannodando le fila di questa situazione che più volte in passato, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, era stato segnalato contiguo a formazioni eversive dell’epoca anche se allora non erano stati trovati elevati elementi importanti. Quello che ha fatto crescere l’attenzione, oltre alle armi rinvenute, è stato anche il materiale documentale, perché nei documenti si parla di prendere una risoluzione strategica per riprendere il nome delle Brigate Rosse. Questa formazione a livello di vertice si era proposta alle Br di Lioce e di Galesi per fare la lotta armata all’epoca».
Manolo Morlacchi (da internet) |
IL MANUALE – Con l’accusa di far parte di questa organizzazione di matrice marxista – leninista che si proponeva il rilancio della lotta armata e la riproposizione della sigla delle Brigate Rosse, nel giugno scorso erano state già arrestate cinque persone, tuttora detenute, e recuperata un’importante documentazione ideologica che teorizzava la ripresa della lotta armata e l’assunzione della denominazione «per il comunismo Brigate Rosse». Costantino è risultato in possesso di materiale informatico che espone i criteri e le modalità di criptazione dei documenti per finalità eversive, una sorta di manuale di istruzioni destinato ai sodali, che riporta le istruzioni per l’utilizzo dell’informatica, definite testualmente nel documento stesso «.. una specie di codice di condotta che consigliamo ai militanti rivoluzionari», con una serie di indicazioni finalizzate a evitare controlli da parte delle forze dell’ordine, nonché istruzioni per non farsi «tracciare» in rete. Questo materiale informatico è stato esaminato dalla Digos di Roma con il concorso del Servizio e del Compartimento Polizia Postale di Roma. «Queste istruzioni – continua Giannini – ricordano il metodo di criptazione dei documenti usato dalle Brigate rosse di Galesi e Lioce».
La copertina del libro di Manolo Morlacchi «La fuga in avanti» |
TESTI IN CODICE – «PGP», «Pretty Good Privacy»: è il crittosistema (secondo gli esperti, uno dei più vicini alla crittografia di livello militare) raccomandato ai «rivoluzionari» nel manuale di istruzioni per sfuggire a eventuali investigazioni informatiche. Per la redazione dei documenti viene indicata la necessità di utilizzare l’applicativo di scrittura «blocco note» (TXT): è questo – secondo gli investigatori – il metodo di scrittura utilizzato per redigere il volantino di rivendicazione del fallito attentato del 26 settembre 2006 contro la caserma «Vannucci» dei parà di Livorno, firmato dall’organizzazione «per il Comunismo Brigate Rosse».
LE ISTRUZIONI – «Quelle che seguono – è la premessa del documento – non sono le istruzioni che scriverebbe un esperto. Sono una specie di codice di condotta che consigliamo ai militanti rivoluzionari assemblato con alcune istruzioni schematiche per l’uso di alcune procedure. Come tutti i codici di condotta devono essere applicate con la creatività che deve contraddistinguere i rivoluzionari». «Vi stiamo spiegando – continua il testo – come usare PGP in maniera assolutamente anonima e non per gli usi per cui è stato costruito. La cosa più opportuna è dare alla chiave il vostro nome di battaglia, per cui gli altri compagni sapranno a chi appartengono le vari chiavi che riceveranno. Tenere però le chiavi sul vostro pc è la più grossa puttanata che possiate fare: un informatico esperto vi entra dentro il pc e vi ruba le chiavi, ad esempio. Supponiamo che il compagno A si sia fatto fregare la chiave pubblica del compagno B: B potrebbe ricevere un messaggio che dice: “vediamoci nel tal posto alla tal ora”. B vede che il messaggio è cifrato correttamente e va all’appuntamento e si fa pigliare». Segue «qualche istruzione per non farsi tracciare in rete», partendo però dalla consapevolezza che «quando vi collegate ad internet è come se giraste nudi in un palazzo di vetro. Occorre essere attenti». Ergo: «mai usare la propria connessione privata a fini operativi (anche durante la fase di inchiesta), nemmeno la connessione di una casa di sicurezza che credete debitamente affittata sotto falso nome».
A MILANO – Gli arresti sono stati eseguiti a Milano da personale dell’Antiterrorismo delle Digos di Roma e Milano. I due arrestati sono accusati di far parte della associazione terroristico – eversiva, costituita in banda armata, denominata «per il comunismo Brigate Rosse». Altri appartenenti a questa formazione eversiva erano stati arrestati nel giugno scorso dalla Digos di Roma.
Pietro Morlacchi, brigatista del nucleo storico con Curcio, Frnceschini e Moretti (Ansa) |
IL FIGLIO – Manolo Morlacchi, 39 anni, milanese, è il figlio di Pietro Morlacchi, storico br che nell’estate del ’72 costituì il primo esecutivo delle Brigate Rosse con Renato Curcio, Alberto Franceschini, Mario Moretti e Piero Morlacchi. Si è laureato in Storia alla Statale di Milano nel 1997 con una tesi dal titolo «Politica e ideologia nell’Italia degli anni ’70. Il caso delle Br». E nel 2007 ha scritto un libro sul padre, «La fuga in avanti – La rivoluzione è un fiore che non muore»: «Col ‘ 68 e l’ inizio delle lotte operaie e studentesche – si legge – la funzione di quel gruppo andò via via esaurendosi. Alcuni rientrarono nelle fila istituzionali, altri scelsero la lotta armata. Tra questi mio padre…». E solo nel giugno 2009, insieme con il fratello Ernesto diceva: «Non è giusto essere svenduti come terroristi soltanto per il cognome che portiamo». Pietro Morlacchi è morto nel 1999.
L’INCHIESTA – Nel giugno scorso, l’inchiesta portò all’arresto di cinque persone, tra Roma e Genova, su ordine del gip Maurizio Caivano. I reati contestati, a vario titolo, andavano dall’associazione eversiva alla banda armata, alla detenzione di armi. La svolta nelle indagini era arrivata grazie una chiamata, partita da una cabina telefonica, intercettata a febbraio del 2007 e attribuita a Luigi Fallico. In una delle telefonate intercettate, in particolare Fallico parlava di un attentato alla Maddalena nei giorni del G8. Oltre a Fallico, arrestato nella Capitale e considerato il capo del gruppo, in quella occasione finirono in carcere anche Bruno Bellomonte, rappresentante di spicco dell’indipendentismo sardo, e Bernardino Vincenzi. A Genova invece a finire in manette erano stati Riccardo Porcile e Gianfranco Zoja.
IL FALLITO ATTENTATO – Questo gruppo eversivo – ricorda la Polizia – ha rivendicato, nel settembre 2006, un attentato dinamitardo, fortunatamente fallito, ai danni della caserma dei Paracadutisti «Vannucci» di Livorno. La rivendicazione di quell’attentato avvenne con un volantino spedito a vari giornali. «Nelle vittorie come nelle sconfitte ciò che conta è la continuità dell’attacco Ernesto Che Guevara» – si leggeva sul volantino – Il giorno 25 settembre 2006 un nucleo della nostra organizzazione ha bombardato la caserma della brigata Folgore, a Livorno».«La Folgore, oltre che un covo di fascisti e stupratori, rappresenta insieme agli altri corpi speciali il braccio armato per eccellenza dell’imperialismo italiano» – recitava lo scritto – «Questo, all’interno del Nuovo Ordine Mondiale disegnato dal polo imperialista attualmente dominante Usa ha svolto negli ultimi decenni un ruolo sempre più attivo di penetrazione politica, economica e militare, dalla Somalia alla Jugoslavia, dall’Afghanistan all’Irak e oggi, infine, anche in Libano. Per non parlare dell’alleanza strategica con Israele, punta di lancia dell’imperialismo nell’area mediorientale».
Redazione online