Al processo Mori, parla il figlio dell’ex sindaco di Palermo. «Il boss da latitante poteva muoversi liberamente». Poi svela: «I soldi dei boss investiti su Milano 2»
Massimo Ciancimino (Ansa) |
PALERMO – «Dopo le inchieste e le denunce della commissione antimafia e il caso della sua querela al capo della polizia, mio padre decise di spostare i suoi investimenti lontano da Palermo». Nuove rivelazioni di Massimo Ciancimino. Deponendo nell’aula bunker dell’Ucciardone, al processo al generale dei carabinieri Mario Mori e al generale Mauro Obino, che sono accusati di favoreggiamento aggravato alla mafia, il figlio dell’ex sindaco di Palermo sostiene che suo padre era in affari con i boss di mafia Salvatore e Antonino Buscemi e Franco Bonura. «Mio padre li chiamava “i gemelli”. Ricordo negli anni ’60 molte riunioni domenicale al ristorante la Scuderia a Palermo. Quando mio padre era assessore ai lavori pubblici dava indicazioni su un terreno che sarebbe diventato edificabile. Quei guadagni finivano in delle società in cui mio padre era interessato». Negli Anni Settanta poi dopo gli accertamenti della commissione antimafia Don Vito Ciancimino decide di diversificare. «Alcuni suoi amici di allora, Ciarrapico e Caltagirone e altri costruttori romani gli dicono di investire in Canada dove sono in preparazione le Olimpiadi di Montreal». Ma anche altri soldi saranno destinati a un altro progetto. «Una grande realizzazione alla periferia di Milano che è stata poi chiamata Milano 2». Ciancimino junior racconta in aula di aver acquisito queste informazioni sia direttamente dal padre sia attraverso la lettura di agende e documenti dello stesso genitore. Insieme avremmo dovuto fare un memoriale per questo gli chiedevo sempre chiarimenti su qualcosa che ritenevo interessante».
LA TRATTATIVA – Il figlio dell’ex sindaco è ritenuto dalla procura uno dei testimoni chiave della cosiddetta trattativa tra Stato e mafia che avrebbe visto il Ros dei carabinieri tra i protagonisti. Ciancimino ha parlato di un «accordo stabilito tra il maggio e il dicembre del 1992» grazie al quale il boss Provenzano godeva di una sorta immunità territoriale. «Mio padre mi disse – ha detto Ciancimino jr – che Bernardo Provenzano godeva di una sorta di immunità territoriale per cui, anche da latitante, poteva muoversi liberamente». E le sue parole sull’«immunità» di Provenzano hanno un particolare peso dal momento che ai due ufficiali si contesta proprio il mancato arresto, nel ’95, del boss mafioso all’epoca latitante. Secondo l’accusa proprio il blitz fallito per scelta dei carabinieri, sarebbe stato una delle poste in gioco nell’accordo tra pezzi dello Stato e le istituzioni.
LE VISITE DEL BOSS – «Tra il ’99 e il 2002 – ha raccontato Ciancimino davanti alla quarta sezione del tribunale – Provenzano venne più volte a casa nostra a Roma, vicino a piazza di Spagna. Veniva quando voleva, senza appuntamenti. Tanto mio padre era agli arresti domiciliari», ha affermato il figlio dell’ex sindaco di Palermo, aggiungendo anche che il padre gli diceva come il rischio di questi incontri fosse maggiore per lui che per Provenzano, dato che a lui avrebbero potuto revocare i domiciliari, mentre «Provenzano era garantito da un accordo». Massimo Ciancimino ha detto di essere stato in più occasioni presente alle visite del capomafia corleonese nell’appartamento romano del padre: «Alcune volte lo ricevevo e altre l’ho visto quando usciva», ha affermato.
I RAPPORTI CON LA CASSAZIONE – Ciancimino ha anche rivelato che suo padre «nel 1990 si fece annullare l’ordine di carcerazione grazie ai rapporti che aveva in Cassazione». Il teste ha fatto esplicito riferimento, come autorità giudiziaria che annullò la misura, la prima sezione della Cassazione all’epoca presieduta dal giudice Corrado Carnevale.
ATTENTATI – Il racconto di Ciancimino prosegue. Dopo l’omicidio dell’europarlamentare Salvo Lima, nel marzo del 1992, «erano pronti progetti di morte per politici e magistrati, tra cui Grasso, Mannino e Vizzini». Lo avrebbe detto il boss Bernardo Provenzano a Vito Ciancimino, durante un incontro avvenuto a fine marzo del ’92 a Palermo. Il 12 marzo del 1992, quando fu ucciso Lima «ricordo che io e mio padre eravamo a Roma, mio padre mi chiamo subito e guardammo insieme il telegiornale – ha detto Ciancimino junior -. Mio padre era stato colpito dalle modalità dell’omicidio, era davvero choccato. Mio padre non ritenne opportuno tornare in quel periodo a Palermo. Tra Lima e mio padre c’era un rapporto molto affettuoso. C’era un rapporto stretto tra mio fratello Giovanni e il marito della figlia di Lima, abitavamo in due ville vicine a Mondello». Dopo la morte di Lima, a fine marzo del 1992, Vito Ciancimino avrebbe incontrato a Palermo il boss mafioso Bernardo Provenzano. Ad accompagnare l’ex sindaco di Palermo all’appuntamento con il capomafia sarebbe stato, come racconta oggi lo stesso, appunto il figlio Massimo Ciancimino. In quell’occasione Provenzano avrebbe avvertito Ciancimino che il boss mafioso Salvatore Riina si sarebbe «voluto togliere qualche sassolino dalle scarpe» e «tagliare i rami secchi».
PROVENZANO MI FECE CONDOGLIANZE – Il «signor Franco», l’uomo che Ciancimino indica come un esponente dei servizi segreti che aveva rapporti con il padre Vito Ciancimino, fece avere allo stesso Ciancimino junior le condoglianze del boss Bernardo Provenzano. «Rividi il “signor Franco” anche dopo la morte di mio padre – ha detto – In particolare, lo vidi ai funerali». «Quando lo vidi – ha detto – dopo la tumulazione, ebbi un colloquio con lui. Mi diede anche una busta contenente un messaggio di condoglianze che veniva dal signor Lo Verde (il boss Provenzano ndr). Me lo disse lui che era un messaggio che proveniva da Provenzano». «Quando arrivava – ha detto – ricordo che veniva sempre con l’auto blu». Ma alla domanda se conosce l’identità del «signor Franco», ha risposto con un secco “no”. «L’ho visto tante volte, ma mio padre stesso non mi ha mai detto chi era». Alla domanda se sa se lo 007 è ancora in vita, Ciancimino ha risposto di sì.
LE INTIMIDAZIONI – Poi racconta di una presunta intimidazione dei servizi segreti: «Nel maggio del 2009 ho ricevuto la visita di un uomo dei servizio segreti, nella mia casa di Bologna, che mi ha accusato di essere venuto meno agli impegni presi e mi ha chiaramente intimidito dicendomi che la strada che avevo cominciato a percorrere non mi avrebbe dato alcun beneficio». Secondo il racconto di Ciancimino i Servizi non avrebbero gradito la sua decisione di raccontare ai magistrati della cosiddetta trattativa tra Stato e mafia.
Redazione online