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Processo Ciancimino: «Provenzano “consegnò” Riina ai carabinieri in cambio dell’impunità»

 

La seconda giornata di deposizione del figlio dell’ex sindaco di Palermo. «Dopo l’arresto di Vito Ciancimino fu Dell’Utri a subentrare nella trattativa Stato-mafia»

 

Massimo Ciancimino (Lapresse)

PALERMO – Vito Ciancimino «diede indicazioni per la cattura di Totò Riina e convinse Bernardo Provenzano. Non fu facile, Provenzano non amava il tardimento». È il racconto di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, nell’aula bunker del carcere Ucciardone nella seconda giornata di deposizione al processo contro il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura di Provenzano. Dopo l’arresto di Riina e quello – di poco precedente – di Vito Ciancimino, fu Marcello Dell’Utri a subentrare nella trattativa con Cosa nostra, ha affermato Ciancimino jr. «Dell’Utri e Provenzano avevano rapporti diretti. Me lo riferì mio padre a cui era stato detto dal capomafia». Provenzano parlò con Dell’Utri anche di un atto di clemenza verso l’ex sindaco di Palermo, visto il suo stato di salute.

VIA D’AMELIO – Ciancimino padre si sentiva indirettamente responsabile della strage di via D’Amelio, in cui morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, ha raccontato Massimo. «Mio padre si sentiva, anche se indirettamente, responsabile dell’ennesima strage. “Se questo è capitatato è anche colpa nostra”, mi disse», ha deposto Massimo Ciancimino.

LA TRATTATIVA – Dopo la strage di via D’Amelio sarebbe ripresa la «trattativa» tra lo Stato e Cosa nostra, ha proseguito Massimo Ciancimino nella sua deposizione. «Mio padre mi disse che, per riuscire a catturare Riina, i carabinieri avevano bisogno di Provenzano. Nel momento in cui si percepisce la ferocia di Cosa nostra, mio padre reputa interrotto qualsiasi tipo di rapporto con Riina. Ma intorno al 22 agosto mi dice di riprendere i contatti con i carabinieri. L’incontro avviene nel suo appartamento di Roma tra il 25 e il 26 agosto, e ho un documento che ne prova il riscontro. Cambia totalmente l’oggetto del dialogo rispetto alla prima trattativa», ricorda Ciancimino jr. «In quel caso era una proposta iniziale delle istituzioni di possibili benefici verso i familiari e un atteggiamento più morbido verso i latitanti. La seconda fase è più operativa: dalla resa dei latitanti si passa alla volontà di catturare Riina. I carabinieri non ipotizzarono nemmeno la cattura di Provenzano, perché sapevano che grazie a lui sarebbero arrivati all’arresto di Riina. E per potere giungere a Riina avevano bisogno di mio padre».

TRADIMENTO – Vito Ciancimino discusse dell’arresto di Riina in diversi incontri tra agosto e novembre 1992 sia con Provenzano, sia con i carabinieri e con l’agente dei servizi segreti, finora mai identificato e dal teste indicato come Franco. «Portai io stesso le indicazioni per alcuni di questi incontri tra il 21 e il 25 luglio, dopo la strage di via D’Amelio», ha affermato Massimo Ciancimino. «In cambio del suo contributo per la cattura di Riina, Provenzano ottenne una sorta di impunità. Mio padre spiegò ai carabinieri che l’unica persona che poteva imprimere una rotta nuova alla strategia di Cosa nostra e far cessare le stragi era Provenzano e per questo doveva rimanere libero», ha detto Massimo Ciancimino. I carabinieri, secondo il suo racconto, avrebbero fatto avere a Vito Ciancimino «due tuboni gialli con documenti A3 contenenti le mappe di Palermo, tabulati telefonici, liste delle utenze di acqua, luce e gas». I documenti, ridotti a una zona più ristretta, sarebbero stati poi dati da Massimo Ciancimino a Bernardo Provenzano che li avrebbe restituiti con un cerchio su una zona tra il Motel Agip e via Pacinotti. È in quell’area che si trova via Bernini, dove Riina fu arrestato dai carabinieri il 15 gennaio 1993. Poco prima, però, il 19 dicembre 1992 Vito Ciancimino fu arrestato. «Mi chiamò dal carcere», ha detto Massimo Ciancimino. «Con lui c’era De Donno. Mi disse di consegnare le carte a De Donno. I carabinieri sapevano che le indicazioni per l’arresto di Riina arrivavano da Provenzano, ma Riina non doveva cogliere il senso del tradimento. La mancata perquisizione del covo di Riina dopo l’arresto, fu concordata tra mio padre e Provenzano e fu comunicata ai carabinieri. Era uno dei punti dell’accordo».

RIINA E LE STRAGI – Secondo Ciancimino jr., Riina era spinto a continuare nelle stragi da qualcuno, che è rimasto nell’ombra. «C’era una persona che pressava Riina, che gli diceva ad andare avanti nelle stragi. Provenzano e mio padre erano contrari a questo modo di fare». «Il nostro amico è molto pressato da un “grande architetto”», dice infatti un pizzino letto in aula inviato da Provenzano a Ciancimino.

DELL’UTRI SOSTITUISCE CIANCIMINO – Dopo l’arresto del padre, Massimo Ciancimino afferma nella sua deposizione che Marcello Dell’Utri subentra nella trattativa tra Stato e mafia. «Dopo il suo arresto, mio padre si convinse che i carabinieri l’avevano tradito e che avevano un nuovo interlocutore, probabilmente con il beneplacito di Provenzano. Anni dopo mi rivelò che, secondo lui, il nuovo referente istituzionale sia della mafia che dei soggetti che avevano condotto la trattativa fosse Dell’Utri». Nelle ultime fasi della trattativa a cui prese parte il padre, dice Massimo Ciancimino, gli argomenti affrontati tra l’ex sindaco, Provenzano e l’agente dei servizi segreti “Franco” erano più ampi della sola cattura di Riina. «Era il 1992, l’anno dell’anno dell’avanzata della Rete e della Lega e si discuteva della necessità di non disperdere l’enorme patrimonio elettorale della Dc, di cercare cioè il riferimento in un’atra entità politica». In un pizzino letto in aula Provenzano dice a Ciancimino di aver parlato con «un amico senatore» di un provvedimento di clemenza, vista la salute dell’ex sindaco. «Anche se all’epoca il politico era solo un deputato, Provenzano era solito chiamare tutti senatori».

PAPELLO E PIZZINI – Ciancimino jr. ha parlato anche poi del famoso «papello», il testo delle richieste della mafia allo Stato. «Nonostante che la cassaforte in cui tenevo i pizzini di Provenzano e il papello fosse in evidenza nella mia abitazione, i carabinieri nel 2005 per una perquisizione non l’aprirono». Ciancimino ha raccontato di avere suggerito lui stesso ai carabinieri la presenza della cassaforte che, però non fu toccata. Nel maggio 2006, sostiene sempre Ciancimino, un agente dei Servizi gli riferì che stavano per arrestarlo e lo invitò a portare i documenti all’estero. Tutto il materiale finì in un istituto bancario svizzero. «Alcuni dei pizzini li ho avuti personalmente da Provenzano, ma erano tutti riconoscibili, secondo un codice criptato all’interno degli stessi, che mio padre poteva riconoscere», ha raccontato il testimone. «Erano sempre in buste chiuse che io portavo a mio padre. Lui andava a prendere i guanti monouso sterili, usava il borotalco, apriva i pizzini, li leggeva e li richiudeva. Faceva sempre le fotocopie dei pizzini che metteva nel suo archivio. Temeva sempre una perquisizione e aveva paura che si potessero trovare gli originali con le impronte di Provenzano. Così preferiva fare le fotocopie». In un altro pizzino letto in aula ci sarebbe l’interessamento anche dell’ex presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro, oltre che di Dell’Utri, per un provvedimento di clemenza a favore dei detenuti di Cosa nostra.

GARANZIE DA VIOLANTE – Garanzie da parte di Luciano Violante, all’epoca presidente della Commissione nazionale antimafia. Sarebbe stata questa la condizione posta da Vito Ciancimino ai carabinieri. In cambio del suo ruolo di intermediario nella trattativa tra Stato e mafia, l’ex sindaco chiedeva una garanzia per la tutela del suo patrimonio finito sotto sequestro. «Chiese espressamente la garanzia di Violante per avere benefici nei processi in corso e nelle misure di prevenzione», ha aggiunto Massimo Ciancimino. «Violante, essendo vicino ai giudici, in qualche modo poteva garantirgli la salvezza del patrimonio». Il capitano De Donno, che secondo la procura trattava con Ciancimino insieme all’allora capo del Ros, Mario Mori, «disse che si sarebbe attivato», aggiunge Ciancimino jr., «e mi preannunciò l’uscita di un articolo su Panorama» su una perizia del professore Pietro Di Miceli sulle condizioni di salute dell’ex sindaco, che nel frattempo tentò anche di avvicinare i magistrati della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. La deposizione di Massimo Ciancimino proseguirà lunedì 8 febbraio.

OSCURATO SITO ANTIMAFIA – Il sito internet della testata AntimafiaDuemila è stato oscurato per un attacco di hacker dalle 23 del 31 gennaio fino a lunedì sera, proprio in corrispondenza dell’annunciata diretta streaming della deposizione di Ciancimino jr., hanno denunciato i responsabili della testata.

Redazione online

Processo Ciancimino: «Provenzano “consegnò” Riina ai carabinieri in cambio dell’impunità»ultima modifica: 2010-02-02T15:22:29+01:00da
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