È successo a Milano, in via novara. Le fiamme si sarebbero sprigionate da una stufa a legna. Due persone ustionate, ma non sono gravi
Il campo nomadi dove c’è stato l’incendio |
MILANO – Un ragazzino di 13 anni, Enea Emil, è morto nell’incendio scoppiato durante la notte in un campo nomadi nei pressi di via Novara, a Milano. L’episodio, fanno sapere dall’Azienda regionale emergenza urgenza della Lombardia, si è verificato alle 2.52. Sul posto è intervenuto il 118 di Milano. Secondo le prime ricostruzioni, le fiamme sarebbero divampate dalla scintilla scaturita da una stufa a legna, ma le indagini sono ancora in corso. Oltre al ragazzo morto, si registrano altre due persone ustionate trasportate all’ospedale di Niguarda in condizioni non gravi. Al momento non è chiaro se a rimanere feriti siano stati i parenti della vittima o alcuni amici. Il 118 ha portato in ospedale, al centro ustionati di Niguarda, una donna di 21 anni e un uomo di età imprecisata, mentre un altro ventenne ha rifiutato le cure.
IL RACCONTO – «Siamo venti famiglie. Mio cugino era dentro la baracca che è andata a fuoco – racconta uno dei tanti parenti del tredicenne morto. – I suoi familiari non sapevano che fosse dentro anche lui. Alla fine quando hanno capito che non era in giro ma stava anche lui dormendo, i due fratelli hanno cercato disperatamente di rientrare per prenderlo, ma ormai era tutto avvolto dalle fiamme… è bruciato vivo». «La sua famiglia infatti aveva due baracche – aggiungono nel campo – In una vivevano i due genitori, nell’altra i tre figli, i due fratelli di 13 e 20 anni, e la sorella di 21. Ma quando è bruciato tutto e sono scappati credevano che lui non ci fosse».
LA PAURA – «Ora ci sgombereranno, e dovremo trovarci un altro posto. Io è la quarta volta in sette mesi che devo tirare su tutte le mie cose e ripartire» racconta Jan, 26 anni, un altro dei membri della comunità rom che vive nel campo nomadi di via Caio Mario. «Sette mesi fa questo gruppo di rom era insediato dietro il carcere Beccaria in zona Bisceglie – racconta – poi è stato sgomberato ed è finito qui, dove sono state ricostruite le baracche». «Alcuni di noi vengono anche da Triboniano – dice ancora – dove sono stati allontanati, non so perché. So però che lì quattro bambini andavano a scuola, e ora qui no». E non perchè non vorrebbero tornarci, secondo i rom di via Caio Mario, ma perché «il pulmino non li viene a prendere, qui e non riusciamo a lavarli bene per la scarsità d’acqua».