Per gli investigatori è la risposta alla scelta americana di appoggiare la polizia locale. Ucciso un dipendente del consolato statunitense di Ciudad Juarez e feriti i suoi due figli
WASHINGTON (USA) – Prima scena. Marito e moglie, dipendenti del consolato Usa di Ciudad Juarez (Messico) e cittadini americani, trucidati a colpi di armi automatiche a bordo della loro auto. Incolume per miracolo il figlio di pochi mesi. Seconda scena, pochi minuti dopo. Un messicano sposato con un’impiegata del consolato Usa di Ciudad crivellato di proiettili, feriti i due figli di 4 e 7 anni che si trovavano sul sedile posteriore della vettura. La moglie, che li seguiva con una seconda auto, ha assistito impotente all’agguato mafioso. Il triplice delitto ha colpito come una scossa la frontiera a sud del Rio Grande fino a raggiungere Washington dove la Casa Bianca ha espresso tutto il suo sdegno. Parole seguite dalla decisione di rimpatriare i familiari dei funzionari in servizio in 6 consolati americani nel nord del Messico.
PRIMO AVVERTIMENTO – Gli investigatori si mantengono prudenti sul movente degli attacchi ma gli osservatori non escludono che possa trattarsi di un primo feroce avvertimento dei narcos messicani agli Stati Uniti. Da alcune settimane proprio a Ciudad Juarez hanno iniziato a lavorare team misti – americani e messicani – impegnati nella lotta ai trafficanti. Una presenza, unita all’invio di materiale elettronico utile per le intercettazioni, che ha messo in allarme i cartelli. Pur impegnati a farsi la guerra tra loro – e Ciudad è uno dei focolai – i criminali potrebbero aver deciso di lanciare una rappresaglia anti-americana. Una ripetizione di quanto fanno, da anni, nei confronti delle forze dell’ordine locali. Se questa pista dovesse essere confermata vorrebbe dire l’apertura di un nuovo fronte. Con gli Usa che diventano bersagli. Un recente rapporto ha rivelato come le bande criminali messicane siano presente in oltre 250 città degli Stati Uniti. Dalle megalopoli come Los Angeles a piccole località di provincia, ovunque ci sia domanda di coca, mariujana e qualsiasi altra porcheria che brucia il cervello. E’ questo il mercato dei padrini, è qui che spediscono droghe di ogni tipo e immigrati clandestini.
SITUAZIONE FUORI CONTROLLO – L’attacco di domenica a Ciudad Juarez è la prova di come la situazione nella città, nonostante una massiccia presenza dell’esercito, sia fuori controllo. Nelle strade va in scena un massacro quotidiano legato al duello tra il boss del cartello locale e gli uomini di Joaquin Guzman, detto «El Chapo», leader numero uno del mercato della droga. Uno scontro che si allarga poi ad altre organizzazioni rivali lungo tutta la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Una battaglia che è costata dal 2006 oltre 19 mila vittime. La crisi allarma – a fasi alterne – Washington. Perché la guerra sconfina spesso negli stati vicini (come Arizona, Texas e California), coinvolge cittadini statunitensi e rappresenta un chiaro pericolo per la sicurezza nazionale. Gli Usa hanno centellinato gli aiuti al Messico: vorrebbero fare di più ma il Congresso chiede maggiore trasparenza da parte delle autorità locali. Troppe sono le collusioni tra chi deve far rispettare la legge e i criminali. Troppi i dubbi sul comportamento di elementi delle forze dell’ordine. E i messicani, che pure hanno bisogno di assistenza, sono molto sensibili in fatto di sovranità nazionale. L’aver accettato i team misti è stato un segnale importante ma la cooperazione è ancora limitata se comparata alla minaccia dei padrini. Per questo l’assassinio dei tre impiegati può aprire una nuova fase, con gli americani non solo nel ruolo di comprimari ma di protagonisti. Ne farebbero volentieri a meno, ma non possono permetterlo. I narcos sono già «dentro».
Guido Olimpio