In corso 40 perquisizioni in tutta Italia, sequestrate alcune aziende di ristorazione. Tra loro anche il fratello. Si occupavano degli affari di famiglia e gestivano la latitanza del padrino trapanese
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Messina Denaro in una delle ultime foto conosciute (Ansa) |
TRAPANI – Terra bruciata intorno a Matteo Messina Denaro, il boss latitante dal 1993 indicato come il nuovo capo di Cosa Nostra. È l’obiettivo dell’operazione “Golem 2” in cui sono stati impegnati più di 200 agenti delle squadre mobili di Palermo e Trapani nella zona di Castelvetrano, paese natale del capomafia. Diciannove i fermi emessi dalla Procura distrettuale antimafia. Il boss si serviva di fiancheggiatori insospettabili incaricati di gestirne la latitanza e di occuparsi degli affari della famiglia.
PRESO IL FRATELLO – Tra i fermati anche il fratello, Salvatore Messina Denaro. E poi Maurizio Arimondi, Calogero Cangemi, Fortunato e Lorenzo Catalanotto, Tonino Catania, Andrea Craparotta, Giovanni Filardo, Leonardo Ippolito, Antonino Marotta, Marco Manzo, Nicolò Nicolosi, Vincenzo Panicola, Giovanni Perrone, Carlo Piazza, Giovanni Risalvato, Paolo Salvo, Salvatore Sciacca e Vincenzo Scirè. Alcuni sono parenti del boss. L’indagine ha evidenziato come Cosa Nostra continui ad assoldare uomini d’onore storici che, scontata la pena e usciti dal carcere, tornano a dare il loro contributo. È il caso di Filippo Sammartano, Antonino Bonafede e Piero Centonze. In cella sono finiti diversi elementi di spicco di Cosa Nostra trapanese, tra cui i reggenti delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Marsala che avrebbero svolto un ruolo di raccordo tra Messina Denaro e i suoi affiliati nonché con i vertici delle cosche palermitane. Tutti gli arrestati devono rispondere di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamenti e trasferimento fraudolento di società e valori. In corso anche 40 perquisizioni in diverse regioni italiane: nel mirino in particolare le province di Trapani, Palermo, Caltanissetta, Torino, Como, Milano, Imperia, Lucca e Siena.
PRESI I “POSTINI” – Le indagini sono state coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Messineo, dall’aggiunto Teresa Principato e dai pm Marzia Sabella e Paolo Guido. Gli arresti costituiscono il seguito dell’operazione “Golem 1”, condotta a giugno con l’obiettivo di disarticolare la rete di complicità che ha favorito la latitanza del boss. I fedelissimi avevano il ruolo di “postini”: recapitavano corrispondenza contenente ordini e disposizioni. Gli investigatori sono arrivati a loro intercettando dei pizzini attribuiti a Messina Denaro, che in passato ha avuto un fitto scambio epistolare anche con Bernardo Provenzano e i boss Lo Piccolo. Fondamentali nell’indagine alcune intercettazioni. «Da alcuni passaggi si desume il penetrante controllo del territorio da parte del gruppo criminale capeggiato dal superlatitante – spiegano gli inquirenti -, il ricorso sistematico alla violenza per la realizzazione degli obiettivi, il programma di gestione di alcune risorse economiche della zona, l’assoggettamento delle imprese, in molti casi titolari di importanti appalti pubblici, al sistema delle estorsioni e il sistema di riscossione delle relative tangenti, le attività di sostegno alle famiglie dei detenuti con il pagamento delle spese legali e di quelle personali attraverso i proventi delle estorsioni, la ricerca di consenso, di disponibilità e mutua assistenza tra i membri dell’organizzazione e verso il capomafia latitante».
SEQUESTRO AZIENDE – L’indagine riguarda anche un grosso giro d’affari che, come detto, interessa regioni sparse in tutta Italia. Gli inquirenti hanno chiesto il sequestro di alcune aziende che operano nel settore della ristorazione e della distribuzione alimentare, risultate fittiziamente intestate a prestanome di parenti di Messina Denaro e di affiliati al mandamento di Castelvetrano. L’obiettivo era sottrarre il patrimonio accumulato illecitamente ai provvedimenti di confisca e sequestro. Gli investigatori hanno accertato numerose estorsioni nei confronti di imprese impegnate in appalti nel comune di Castelvetrano, come quello per la costruzione di serbatoi e condotte dell’acquedotto Bresciana o le opere di completamento del Polo tecnologico integrato nella contrada Airone.
«COLPO SIGNIFICATIVO» – «È stato scoperto e disarticolato quello che era un verso e proprio servizio postale utilizzato negli ultimi 14 anni dal superlatitante Messina Denaro per comunicare, attraverso i pizzini, gli ordini del boss divenuto ormai il capo di Cosa Nostra» ha commentato il funzionario del Servizio centrale operativo della polizia Vincenzo Nicolì. Il questore di Trapani Giuseppe Gualtieri sottolinea che «l’operazione ha indebolito il tessuto di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro e dato un colpo significativo al fenomeno mafioso della provincia. L’appoggio in termini economici conta moltissimo perché significa capacità di dare lavoro, di condizionare Consigli comunali e operazioni finanziare».
Redazione online