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Pablito, trent’anni dopo «Mi hanno rubato qualcosa»

 

La storia – Nel marzo 1980 lo scandalo del calcio-scommesse. «Ma almeno ho riposato e vinto il Mondiale…»

 

Paolo Rossi al processo per lo scandalo delle scommesse, nel giugno 1980 (Ansa)

MILANO — Lionello Manfredonia è ruvido come quando randellava gli avversari in mezzo al campo. «I 10 anni, i 20 anni… Basta!». Bruno Giordano è laconico e sfuggente: «Arrivederci e grazie». Ricky Albertosi para le domande: «Mi dà fastidio parlare di queste cose». Trent’anni sono passati da quando il calcio italiano perse la verginità e i protagonisti non hanno voglia di riaprire quella porta, di raccontarsi e magari raccontare un’altra storia. Nell’Italia che rimette di continuo mano ai processi, lo scandalo del calcio-scommesse è una pagina su cui pochi vogliono aggiungere qualcosa. Eppure quelle foto sono ancora lì. Se recentemente ha fatto scandalo il Mourinho che a San Siro mostrava le manette, il 23 marzo 1980 lo scandalo fu annunciato da una macchina della polizia ferma sulla pista dell’Olimpico. Fu solo l’inizio. Poi vennero i giorni del carcere per 13 calciatori, il mandato di comparizione per altri venti, la condanna della giustizia sportiva, l’amnistia dopo la vittoria al Mondiale 1982, quello di Paolo Rossi, volto copertina, suo malgrado, di tutti e due gli eventi. «Ancora?». Il «ragazzo come noi» (così lo cantava Antonello Venditti) non dribbla l’argomento. A 53 anni, da ormai affermato opinionista televisivo, ha capito che ci sono delle scadenze fisse: le celebrazioni della tripletta al Brasile e del trionfo spagnolo, ma anche la rievocazione dei re del pallone alla sbarra.

«Il tempo passa, la vita va avanti, tutto si dimentica ma anche dopo tanto tempo, dopo trent’anni, c’è ancora qualcosa che mi brucia dentro. Rabbia? No, non è solo rabbia. Sento che mi hanno portato via qualcosa. Mi hanno scippato due anni, nel pieno della mia carriera, quelli tra i 24 e i 26 anni» Per colpa di chi? Per colpa di cosa? Rossi venne accusato di aver sottoscritto l’illecito (pareggio concordato) di Avellino-Perugia 2-2 (30 dicembre 1979). «Fu l’ingenuità di un minuto, due al massimo. Per aver parlato con un faccendiere (Cruciani, ndr) che mi aveva presentato un mio compagno di squadra (Della Martira, ndr). Dissero che avevo accettato delle cose. Ma non era vero. Lo ripeto da trent’anni. Sono stato ingenuo… forse dovevo denunciare la cosa… ma come si fa a denunciare un compagno? Solo che è stata una cosa drammatica». Cruciani, 5 anni dopo, scagionò Rossi: «Fu tirato in mezzo solo perché era un simbolo». Ma non ci fu solo la gogna mediatica. «Perché anche la mia famiglia, mio padre, mia madre, finiva per ritenere impossibile che non fossi coinvolto». La giustizia civile si accontentò delle spiegazioni. E, il 23 dicembre ’80 (solo nell’89 arrivò la legge 401 sulle partite truccate) assolse gli accusati perché «il fatto non sussiste». La giustizia sportiva no: il 25 luglio ’80 Paolo Rossi prese due anni. Come mai questa diversità? «È sempre stato così. La giustizia sportiva si basa sulla presunzione. Inutile riaprire questo discorso». Colpevole per la giustizia sportiva; innocente, però, «per tutti quelli che mi stavano intorno », racconta Pablito. «Non c’è stata una persona, una sola, della mia famiglia o dell’ambiente del calcio che non mi abbia creduto. Questa è stata la vittoria più importante. Certo però…». Cosa? Paolo Rossi ha, forse, voglia di togliersi finalmente qualche sassolino dalla scarpa? «No. Ma a me m’hanno tolto due anni, due anni splendidi della mia carriera». Non c’è proprio consolazione? «Forse sì: non tutto il male è venuto per nuocere. Mi sono riposato per due anni e sono stato poi fresco per vincere il Mondiale. Vediamola così: c’era una legge divina». Adelante Pablito, tra due anni ci si sente per i trent’ anni dal Sarrià.

Roberto Stracca

Pablito, trent’anni dopo «Mi hanno rubato qualcosa»ultima modifica: 2010-03-24T13:03:05+01:00da
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