La transazione durerà cinque anni. Nel passaggio dallo standard Ipv4, oggi in uso, all’Ipv6 le aziende bisognose di domini sono pronte ad acquistare a qualsiasi prezzo i siti, e gli economisti lanciano l’allarme
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MILANO – 20 settembre 2011. Ecco la data prevista per la fine dei domini che si basano sul protocollo internet oggi più utilizzato, Ipv4. E dopo cosa accadrà? Nella fase di passaggio verso il nuovo standard Ipv6, di cui già da molti anni si parla, il mercato impazzirà e per trovare un dominio libero tra quelli di vecchia generazione si spenderà sempre di più. Il soggetto è così ghiotto da far pensare a molti esperti che un mercato nero fiorirà e i prezzi saliranno alle stelle. Parola di economisti e studiosi della rete, come R. Kevin Oberman, che dichiara a Infoworld: «Un mercato nero è fuori controllo per definizione. Se possedete un bene, che ha un valore e una richiesta di mercato, il suo prezzo salirà e raggiungerà qualsivoglia livello i compratori saranno disposti a spendere». E per potersi accaparrare un dominio Internet (o ancor di più, una serie di domini) in periodo di interregno tra uno standard e l’altro, non resterà che acquistare a qualsiasi prezzo, permettendo che il mercato nero lieviti in maniera esponenziale. Tutta la partita si giocherà nei prossimi cinque anni, periodo necessario per migrare definitivamente da un sistema all’altro, attrezzando server, Pc, browser, apparecchi tecnologici connessi alla rete del proprio (ormai indispensabile) indirizzo IP.
INTERNET DELLE COSE – La crisi e l’esaurimento dei domini basati su standard Ipv4 è annunciata da anni da chi lavora in campo tecnologico. Nella pratica, questo significa che a furia di registrare domini, le varie combinazioni matematiche che permettevano di accedervi si sono esaurite. Complici i pacchetti di siti acquistati per compiere frodi, così come il bisogno sempre più pressante di siti da parte di aree geografiche prima assenti dalla partita (Africa, alcune zone asiatiche, America del Sud). Ma quel che più ha contribuito a questo veloce esaurimento è la diffusione di apparecchi tecnologici bisognosi di parlare tra loro: è il cosiddetto «Internet delle cose», cioè la comunicazione da macchina a macchina (machine to machine, m2m), che sfrutta la tecnologia a pacchetti tipica della rete per far comunicare tra loro due oggetti. E le «cose» bisognose di comunicare tra loro crescono sempre più, tanto da interessare un mercato allargato che proprio in questi giorni si incontra a Milano in fiera per l’annuale M2m Forum.
SITI INFINITI – Tecnicamente, il codice di un dominio basato su Ipv4 è fatto da 32 bit, ovvero da 4 numeri (con un punto tra loro a dividerli) di 8 bit, il cui valore massimo può essere 256. Il nuovo standard invece, Ipv6, viaggia a 128 bit: è cioè in grado di generare 2 alla 128esima potenza di indirizzi nuovi. Per fare un esempio spaziale, significa 666mila miliardi di miliardi di siti a disposizione per ogni metro quadrato di superficie terrestre: abbastanza per soddisfare qualsiasi richiesta di indirizzo, sia da parte di singoli che di aziende e oggetti. Più problematica resta invece la migrazione da uno standard all’altro. Se i sistemi operativi Windows, Unix, Linux, e Mac OSX supportano Ipv6 già da qualche anno, così come i browser sono pronti a riconoscere un sito composto da una stringa numerica più lunga, non tutto il mondo tecnologico è aggiornato per questa rivoluzione. Per questo una fiorente industria lavora a software che permettano a tutte le macchine di riconoscere gli indirizzi nei due differenti standard. E la partita di cui il mercato nero potrà profittare si gioca tutta sull’interregno: in tempi di esodo da uno all’altro, sarà necessario per continuare a «esserci», dotarsi di domini nell’uno e nell’altro mondo. Per ora, oltretutto, le grandi organizzazioni assegnatarie dei nomi di dominio tardano a creare regole per frenare la nascita di un mercato alternativo.
Eva Perasso