Attacco del presidente Usa alla compagnia petrolifera: “Scaricano le responsabilità, connivenze a Washington”. Poi ha annunciato che sarà più difficile, dopo la moratoria di 30 giorni in corso, ottenere permessi per le trivellazioni
Il presidente americano, Barack Obama, è tornato sulla vicenda della marea nera nel Golfo del Messico e ha usato toni durissimi nei confronti delle compagnie petrolifere coinvolte nell’incidente, che sta provocando uno dei più gravi disastri ecologici di sempre. Il numero uno della Casa Bianca ha parlato di «spettacolo ridicolo» puntando il dito contro il continuo rimpallarsi di responsabilità dei soggetti più direttamente coinvolti. Dopo una riunione del gabinetto per discutere gli sforzi per bloccare la perdita e limitarne l’impatto sulle comunità della cosa del Golfo, Obama ha detto di essere arrabbiato e frustrato per la perdita, che minaccia di essere un disastro ecologico ed economico. «Devo dire inoltre di non aver apprezzato quel che considero uno spettacolo ridicolo nel corso delle udienze al Congresso su questo tema. Si sono sentiti dirigenti di Bp, Transocean ed Halliburton accusarsi reciprocamente e puntare il dito dell’accusa per condannare qualcun altro», ha detto. Obama faceva riferimento alla testimonianza questa settimana in Campidoglio dei capi delle tre compagnie coinvolte nel disastro. Nessuna delle tre si è assunta la responsabilità della perdita ed ha anzi accusato le altre. «Quel che conta è questo: c’è una perdita di petrolio … ed abbiamo bisogno di fermarla il più presto possibile – ha detto Obama -. Ci sono abbastanza responsabilità in giro. E tutte le parti dovrebbero esser disposte ad accettarle». Obama ha ribadito l’idea che sia la Bp a dover pagare la pulizia dopo la perdita ed il resto dell’impatto economico sulla regione del Golfo ma ha detto che il governo Usa userà «ogni risorsa disponibile” per impedire che il petrolio arrivi sulla costa. Ed ha detto che non riposerà o sarà soddisfatto fino a quando la perdita non sarà fermata all’origine».
I NUOVI CALCOLI – Nel frattempo sta emergendo un’altra drammatica verità: la fuoriuscita di greggio sarebbe molto più pesante di quanto si pensasse, fino a 12 volte superiore a quella finora stimata: se così fosse si passerebbe dal disastro, ormai noto, all’apocalisse. La nuova notizia è riportata dal quotidiano inglese The Guardian che ha raccolto le valutazioni di un team di ricercatori e scienziati americani, coordinati dal prof. Steve Weely della Purdue University. Hanno esaminato il primo video della fuga di petrolio, le cui immagini sono state diffuse soltanto giovedì. Bp ha spiegato di aver pubblicato le immagini in ritardo, perché prima di lunedì non aveva ricevuto nessuna richiesta in merito ma emittenti e giornali americani, tra cui ABC News, hanno ribattuto che nelle settimane scorse hanno cercato con insistenza di ottenere un filmato che documentasse il disastro in profondità. «Nel video si vedono molti vortici che si formano alla fine del condotto, e ho usato un programma informatico per tracciarli e misurare la velocità con cui esce il petrolio – ha spiegato Steve Werely, uno dei ricercatori al Guardian – da qui è molto semplice calcolare qual è il flusso, che risulta molto più alto di quello indicato ufficialmente».
UNA EXXON VALDEZ OGNI QUATTRO GIORNI – Dallo studio sulle immagini svolto dal team di Steve Weely si giunge alla conclusione che il limite massimo potrebbe essere di 70 mila barili giornalieri, contro i 5mila stimati dalla Bp: equivalenti a un disastro come quello causato dal naufragio della Exxon Valdez ogni quattro giorni. La Bp dal canto suo non ha cambiato e ha ribattuto che le sue stime si basano sulle immagini satellitari e sull’osservazione dell’acqua, ritenendo impossibile effettuare una stima affidabile in base alle immagini sottomarine.
ANCHE IL NYTIMES CONTESTA LE STIME – Che la perdita di greggio possa essere molto maggiore di quanto stimato dal Noaa (l’organismo federale americano che si occupa della tutela ambientale delle acque e delle coste marine), forse 4-5 volte di più, lo afferma anche il New York Times, che ha riferito il parere di diversi esperti. La cifra fornita dal governo americano è stata ottenuta con un metodo chiamato “Bonn Convention” basato sui colori dell’acqua, che sono usati per stimare lo spessore della macchia di petrolio: «Ma questo protocollo è specificatamente non raccomandato per le macchie molto grandi – afferma al quotidiano Alun Lewis, un esperto britannico -, inoltre una sua applicazione corretta dovrebbe dare un intervallo di quantità». La stima iniziale fornita dalla Bp era di 1000 barili al giorno, alzata dal Noaa a 5 mila solo una settimana dopo la tragedia. I dirigenti dell’azienda britannica hanno sempre affermato che una stima è impossibile. Secondo il quotidiano però, due ricercatori del Massachussets, esperti nelle misure del flusso dei geyser sottomarini, erano stati invitati dalla Bp per provare i loro strumenti sulla falla, ma sono stati all’improvviso rimandati a casa. «Il governo ha la responsabilità di chiedere i numeri esatti – afferma Ian McDonald, oceanografo della Florida State university – ho fatto una stima sulle immagini satellitari, e il risultato è 4-5 volte maggiore di quanto detto finora». Intanto il Noaa ha reso noto un primo bilancio dei mezzi messi in campo per bloccare la falla. Secondo il sito dell’agenzia sono al lavoro 13 mila persone, che hanno disposto a difesa delle coste oltre 600 chilometri di barriere di contenimento e assorbenti, e sono stati spruzzati 712 mila litri di sostanze disperdenti.
LA BP MINIMIZZA: «PERDITA CONTENUTA» – La fuga di greggio dal pozzo sottomarino del Golfo del Messico è relativamente contenuta, invece, secondo Tony Hayward, Ceo della Bp, le cui dichiarazioni sono state riportate sempre dal Guardian. «Il Golfo del Messico è un oceano assai vasto, il volume del greggio e dei materiali diluenti che vi stiamo riversando è minuscolo in rapporto al volume totale», ha spiegato, dicendosi certo della possibilità di fermare la fuga ma senza dare una data. Secondo quanto riporta il Hayward si è detto inoltre sicuro che la trivellazione offshore negli Stati Uniti continuerà dato che si tratta di «un terzo della produzione di petrolio e gas naturale americana».
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