SALEMI: Due visitatori si sono sentiti male dopo aver visitato la «cabina macello». Un percorso scioccante
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Vittorio Sgarbi |
MILANO – Immagini troppo crude nel nuovo museo della mafia di Salemi e due visitatori sono stati male. Così il sindaco della città, il critico d’arte Vittorio Sgarbi, ha deciso di impedire l’ingresso ad alcune installazioni ai minori di 16 anni e ha disposto la collocazione di cartelli che avvertono sulla «pericolosità» della visione dei documenti esposti.
Il museo, inaugurato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’11 maggio, è concepito apposta per scioccare e può far star male chi non è abituato, come i cronisti o gli investigatori, a vedere cadaveri per terra crivellati di colpi di lupara. Così una donna di 40 anni milanese e una giovane studentessa catanese hanno dovuto sedersi all’aperto e bere un po’ d’acqua fresca per riprendersi dopo essere passate attraverso la «cabina della violenza», una delle 10 del museo che rappresentano il percorso virtuale attraverso la storia di Cosa nostra.
La cabina 8 per esempio, che come le altre è di appena un metro quadrato, simula il retro di una macelleria siciliana con le piastrelle sporche di sangue e presenta immagini raccapriccianti che mostrano particolari anche «scientifici» di delitti. «La cabina delle estorsioni – spiega il direttore del museo Nicolas Ballario – prima di essere sistemata nel museo è stata bruciata e il legno semicarbonizzato impregna il visitatore dell’odore tipico di ciò che resta dopo un attentato del racket. Lì dentro si assiste alla disperazione dei commercianti che vedono la loro vita andare in fumo».
Il museo intitolato a Leonardo Sciascia fa quindi già discutere mentre è in corso la querelle tra Sgarbi e la famiglia Salvo. Oggetto del contendere è l’esposizione nel museo della prima pagina del quotidiano «L’Ora» del 1984 con la foto dei cugini esattori Ignazio e Nino Salvo il giorno dell’arresto. A chiedere la rimozione di quel documento è stata la vedova di Nino Salvo attraverso un’ingiunzione del tribunale. «Noi non entriamo nel merito della vicenda giudiziaria – ribadisce Ballario – ma quella prima pagina è un documento incancellabile. Non toglieremo la foto: è uno dei trecento documenti esposti sui pannelli per ripercorrere la cronaca di Cosa nostra». Nino Salvo morì di tumore prima della sentenza del maxiprocesso. Il cugino Ignazio, condannato per mafia, venne ucciso nel settembre ’92. (fonte Ansa)