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Di Pietro: mai fatto uso privato dei soldi del partito

La lettera – «Per vedere riaffermata la realtà dei fatti non mi è rimasto che ricorrere alla giustizia». «Dalla laurea agli appartamenti In queste carte la mia verità»

 

Caro Direttore, il Corriere della Sera di ieri, con un articolo in prima pagina a firma Marco Imarisio, ha adombrato il sospetto di miei «silenzi ed ambiguità» riguardo la mia storia personale. Vorrei rispondere ai rilievi mossi, documentando punto per punto. Mi scuso, innanzitutto e preliminarmente, per la pignoleria e per la montagna di carte processuali a cui faccio riferimento e che le invio.

Ma — mi creda — ad un persona come me — invisa a molti e con pochi strumenti di informazione a disposizione — non rimaneva e non rimane altra scelta che ricorrere alla Giustizia per vedere riaffermata, nero su bianco, la verità rispetto alle mille menzogne che sono state scritte sul mio conto in tutti questi anni. E veniamo al merito dell’articolo:

1. Non sono stato affatto convocato dai magistrati di Firenze con «tanto di apposito decreto di notifica».

2. Non è affatto vero che io mi sia laureato in modo anomalo. Mi sono iscritto all’Università di Milano nell’anno 1974 e mi sono laureato nel 1978, rispettando appieno il piano di studio all’epoca previsto da quell’Università per la laurea in legge. Sono certo che anche Lei e il dottor Imarisio avete rispettato il piano di studio e vi siete laureati senza andare fuori corso. E’ semmai anomalo il comportamento di quegli studenti che sforano il piano di studio e vanno «fuori corso», non di chi lo rispetta e si laurea nei tempi previsti. Lo stesso giornalista, peraltro, riferisce che «l’istituto di presidenza della facoltà confermò a suo tempo che tutto era in regola». Il mio certificato di laurea e il mio libretto degli esami sono già stati pubblicati una miriade di volte e, comunque, invio anche a lei un’ulteriore copia. Le invio anche copia della causa per danni da me notificata al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per aver sostenuto nella trasmissione “Porta a Porta” del 10 aprile 2008 che la mia laurea fosse falsa. Causa, ad oggi, ferma alla Camera dei Deputati, a seguito della sua ric h i e s t a d i insindacabilità ex art. 68 Cost.

3. Le accuse del Gico di Firenze circa miei presunti favori ricevuti da Pacini Battaglia, da Antonio D’Adamo e da Giancarlo Gorrini sono state tutte smontate dai giudici di Brescia che, dopo due accurate e meticolose inchieste, hanno sentenziato che «i fatti non sussistono ». Al riguardo, Le invio copia della sentenza numero 3940/96 del 18 febbraio 1999 (riguardante la vicenda D’Adamo-Pacini) e della sentenza n.ro 189/96 del 29 marzo 1996 (riguardante la vicenda Gorrini);

4. Non è vero che io abbia mai avuto a che fare con i Servizi segreti, né italiani, né stranieri. Sul punto si sono espressi, già diverse volte, i magistrati (ai quali mi sono rivolto per tutelare la mia onorabilità) che hanno riconosciuto che io non ho mai avuto alcun rapporto con strutture di tal tipo. Allego al riguardo, e in via esemplificativa, la sentenza del 17 marzo 1997 del Tribunale di Milano con cui è stato condannato in primo grado l’allora senatore Erminio Boso per aver sostenuto una panzana del genere. Allego anche la richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Torino n.ro 5981/98 del 26 ottobre 1999 che ha rinviato a giudizio Bettino Craxi sempre per aver falsamente sostenuto che io fossi un agente dei Servizi segreti (il processo poi non si è svolto perché Craxi nel frattempo è deceduto). Se si ha l’onestà intellettuale di valutare le cose in buona fede, (come sono certo farà Il Corriere della Sera) tali sospetti non possono essere alimentati strumentalizzando la mia relazione all’Autorità giudiziaria circa la presenza del latitante Francesco Pazienza alle Seychelles, né la mia partecipazione alla cena natalizia del 1992, svoltasi presso il Reparto dei Carabinieri di Roma, su invito del Comandante col. Vitaliano, cena a cui partecipò anche il questore Bruno Contrada, allora dirigente del Sisde. Comunque, e proprio al fine di non essere accusato di reticenza, le allego l’atto di citazione (con annessi 18 documenti allegati) che ho proposto nei confronti di Mario Di Domenico per le false dichiarazioni dallo stesso rilasciate circa l’asserito mio coinvolgimento nella vicenda Contrada e di cui proprio “Il Corriere della Sera”, tempo addietro, ha dato notizia con grande risalto (atto di citazione che, come potrà constatare, non ha riguardato né “Il Corriere della Sera”, né il giornalista Cavallaro, proprio perché ho ritenuto e ritengo legittimo e doveroso il vostro mestiere). Allego anche l’atto di citazione che ho proposto nei confronti di Francesco Pazienza ed altri, in relazione alle elucubrazioni montate in ordine alla mia segnalazione all’Autorità giudiziaria sulla sua permanenza da latitante nello stesso posto in cui io e la mia futura moglie ci trovavamo in vacanza. Anche in questo caso, sarebbe stato anomalo il mio silenzio su quanto avevo visto e sentito circa il rifugio di Pazienza e non la pronta relazione al mio Capo Ufficio, una volta rientrato in Italia. Peraltro faccio presente che la legge impone a tutti i pubblici ufficiali di segnalare all’Autorità giudiziaria fatti e circostanze penalmente rilevanti ed io ero all’epoca magistrato!

5. Non è vero che io abbia fatto un uso privato dei soldi del partito. Su questa questione, sono già intervenuti ben tre provvedimenti del giudice penale che ha archiviato tutte e tre le volte altrettanti esposti del denunciante Di Domenico per assoluta infondatezza dell’accusa. Allego al riguardo il decreto di archiviazione n.ro 4620/07 – GIP Imperiali di Roma del 14 marzo 2008, il decreto di archiviazione n.ro 15233/09 – GIP Silvestri di Roma del 26 maggio 2009 ed il decreto di archiviazione n.ro 860/09 – GIP Marzagalli di Busto Arsizio del 12 ottobre 2009.

6. Non è vero che io abbia mai fatto—con riferimento alle proprietà immobiliari di mia proprietà— una commistione tra patrimonio mio personale e patrimonio del partito Italia dei Valori. Allego, al riguardo, la sentenza del Tribunale di Monza n.ro 760/10 del 2 marzo 2010 che condanna il quotidiano Il Giornale, il direttore dell’epoca Mario Giordano e il giornalista Chiocci a risarcirmi, con 60.000 euro, il danno per le falsità e le diffamazioni pubblicate il giorno 4 agosto 2008 con un dossier intitolato: “Di Pietro ha investito 4 milioni di euro in case, ecco il suo patrimonio”.

7. Non è vero che io abbia fatto un “uso non associativo” dei soldi del partito, come pure da taluni sostenuto. Allego, al riguardo, la memoria esplicativa (con annessi 65 documenti allegati) che ho consegnato alla Procura della Repubblica di Milano (PM dottor Fusco). Dalla disamina dei documenti in questione si evince in modo evidente — sempre se si ragiona in buona fede — che i soldi del partito sono sempre finiti nelle casse del partito.

8. Non è vero che io abbia acquistato case tramite “prestanome”, nel senso dispregiativo del termine, o che abbia acquistato “immobili proibiti per legge ai parlamentari in carica”, come pure si afferma nell’articolo (credo in buona fede a seguito di una martellante campagna denigratoria, svolta da altre testate giornalistiche). Allego, al riguardo, l’atto di citazione promosso nei confronti del quotidiano “Il Giornale” che, per primo, ha sostenuto tale falsità, con annessi 18 documenti allegati, dai quali si evince in maniera incontrovertibile che non è affatto vero che io abbia acquistato un immobile “proibito per legge”, né che io abbia intestato ad altri l’immobile acquistato.

Spero, caro Direttore, che la documentazione inviata e le spiegazioni fornite possano essere sufficienti per rivedere «i dubbi e le ambiguità» che “Il Corriere della Sera” ha nei miei confronti. Nel caso dovessero permanere ulteriori perplessità, non si faccia scrupolo, me li chieda o me li faccia chiedere.

Antonio Di Pietro
(Leader di Italia dei valori)

Di Pietro: mai fatto uso privato dei soldi del partitoultima modifica: 2010-06-06T10:51:48+02:00da
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