Primo dei tre incontri a Boston: 91-84 e 2-1 nella serie. Il team di Los Angeles ha imposto un giogo psicologico difficile da rimuovere per gli avversari, i Boston Celtics
BOSTON – Nella sfida delle sfide del basket, la finale Nba tra Los Angeles Lakers e Boston Celtics, è girato di nuovo il vento. In modo spettacolare. Dopo che avevano vinto la seconda partita a Los Angeles, pareva diventato favorevole ai Celtics. Ma il primo dei tre incontri di fila a Boston ha detto Lakers: 91-84 e 2-1 per loro nella serie. È un messaggio forte: nel tennis si direbbe che i campioni in carica si sono ripresi immediatamente il servizio che avevano perso. Ma al di là dell’essere risaliti dalla buca in cui erano caduti, i Lakers hanno imposto un giogo psicologico ora difficile da rimuovere. I Celtics hanno altre due occasioni al Td Garden: però dopo questo tremendo ko il fattore campo rischia di pesare di meno. La miglior prospettiva per la squadra che nel 2008 riuscì a domare l’avversario di quello che viene definito il “derby del mondo” è di tornare a Los Angeles per gara 6 in vantaggio 3-2: invece a Boston sognavano di chiudere la finale sul 4-1. È giusto così.
MONOLOGO – È stato un monologo dei californiani. A parte una manciata di minuti iniziali e il terzo quarto della riscossa biancoverde: incapaci di contenere l’attacco di Los Angeles e stritolati dalla difesa ospite, i Celtics erano scesi addirittura a -17 (37-20) prima di trovare la riscossa dalle seconde linee e prima di tutti dal poderoso “Baby” Davis, un toro da 131 chili. Gara 3 ha infatti ribaltato i mattatori e gli uomini chiave. Ray Allen, eroe per Boston in gara 2 con tanto di sequenze record, si è ritrovato nell’incubo: 0-13 da tre, 0-8 da due. E con lui è sparito Rajon Rondo, metronomo della regia. ll discorso vale, in parte, pure sul fronte dei Lakers: i 29 punti e certe magie di Kobe Bryant stavolta non hanno la stessa luce del quarto tempo giocato dal playmaker Fisher, autorità, coraggio e canestri pesanti per tenere a una distanza, per quanto minima, Boston. Ed è bello annotare che i due punti risolutivi li ha firmati, dalla lunetta e a freddo (è entrato solo in quegli ultimi secondi), lo sloveno Vujacic: dal 2001 al 2004 la serie A italiana l’aveva visto giocare a Udine. Nonostante la finale 2010 sia ormai decollata, per intensità e qualità delle partite, l’appeal generale è lievemente in calo rispetto a quella del 2008.
RIVALITÀ – La spiegazione è semplice: due anni fa Lakers e Celtics tornavano a sfidarsi per il titolo dopo tante stagioni di “buco”, e questo a causa di un lungo periodo di mediocrità di Boston. Era inevitabile, pertanto, che la feroce rivalità tra i due club (che, messi assieme, vantano la metà degli “scudetti” assegnati nel basket professionistico) esplodesse in un contorno di interesse al massimo livello. Il remake, appena ventiquattro mesi dopo, scatena emozioni un po’ meno impetuose. Però il fascino della classicissima è intatto, così come gli sfottò (la storica maglietta dei tifosi bostoniani, “Beat L.A.”, è stata aggiornata in “Beat L.A. again”) e gli effetti collaterali della finale. Uno dei più curiosi riguarda i biglietti. Boston è sotto assedio del bagarinaggio. Fatto in assoluto non nuovo e dunque nemmeno solo italiano, ma così preoccupante da indurre i Celtics a seminare il Garden di avvisi: oltre all’elenco dei punti vendita autorizzati, c’è un numero verde per segnalare personaggi sospetti; e soprattutto viene ricordato che c’è il rischio dell’arresto se si è sorpresi con un biglietto non regolare.
PREZZI – Il punto però è che il poco che rimane da vendere dei settori di un impianto tutto esaurito dal punto di vista del club (e lo stesso vale per lo Staples Center di Los Angeles) è nelle mani di agenzie licenziatarie che hanno fatto lievitare a dismisura i prezzi. Per gara 3, non ancora decisiva, si partiva da 345 dollari a persona e si arrivava a 14mila per una poltrona a ridosso delle panchine. Per la cronaca, il prezzo di mercato raccomandato dalla Nba per il “bordo campo” è di circa 3.000 dollari, cifra alla quale di sicuro i Celtics hanno venduto. Se può consolare, a Los Angeles va peggio: per sedersi dietro la panchina, con vista anche su Jack Nicholson, che ha notoriamente il posto a fianco dei giocatori, bisogna “sverniciare” la carta di credito in ragione di 30mila dollari. È il fascino di L.A. e di Hollywood… per chi può permetterselo.
Flavio Vanetti