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La “talpa” di Wikileaks finisce nei guai

Un soldato americano è accusato di aver consegnato al sito specializzato in rivelazioni scottanti il video che mostra l’uccisione di alcuni civili a Baghdad da parte di militari Usa e altri documenti top secret. Wikileaks ora si mobilita per aiutarlo

 

 

 

Sono passati poco più di due mesi dalla pubblicazione del controverso video (a fondo pagina), che mostra l’uccisione a Baghdad di alcuni civili iracheni, tra cui due dipendenti dell’agenzia di stampa Reuters, da parte di un elicottero militare americano. Le immagini, che risalgono al 2007 e sono state rilanciate dalla stampa di tutto il mondo, costituiscono uno dei maggiori successi di Wikileaks, sito che garantisce l’anonimato a chiunque voglia pubblicare documenti segreti e scottanti.

Tuttavia, 62 giorni dopo, il presunto autore della “soffiata” è stato scoperto. Secondo quanto riportato inizialmente da Wired e successivamente confermato dal Dipartimento della difesa statunitense, Bradley Manning, 22 anni, analista militare di stanza in Iraq, si trova in stato di arresto con l’accusa di avere rivelato all’esterno informazioni riservate. Tra queste, il famoso video iracheno e, pare, 260 mila dispacci diplomatici preparati dal Dipartimento di stato e da membri del corpo diplomatico Usa in Medio Oriente.

A denunciare il giovane soldato americano all’FBI e alle autorità militari a stelle e strisce è stato Adrian Lamo, un ex-hacker, con cui Manning si è intrattenuto via email e via chat confidando le sue imprese di “gola profonda” telematica. “Se avessi accesso alle reti di documenti riservati per 14 ore al giorno per sette giorni la settimana da più di otto mesi che cosa faresti?”, ha detto il giovane Manning a quello che considerava un interlocutore fidato e poi ha snocciolato l’elenco delle informazioni che avrebbe trasferito dai server del Pentagono a quelli di Wikileaks. Di fronte alle confessioni, Lamo, condannato in passato per essere penetrato nei computer di Microsoft e del New York Times, ha optato per la denuncia: “Non lo avrei fatto se vite umane non fossero state in pericolo”, ha detto a Wired.

Da parte sua Wikileaks, che ha raggiunto il picco della popolarità proprio con il video iracheno, non ha confermato di avere ricevuto da Manning materiali segretati, ma ha comunque deciso di sostenere il soldato: “Non sappiamo se Manning sia stato una nostra fonte”, si legge sull’account Twitter del progetto, ma “se l’esercito americano lo afferma noi lo difenderemo”. I primi passi in questa direzione sono stati un appello per cercare volontari che vogliano contribuire alla difesa del giovane e una pagina su Facebook intitolata Savebradley che ha trovato l’appoggio di più di 1200 fan. Il progetto ha inoltre avvertito le fonti di “parlare solo con Wikileaks” e non con estranei.

La natura dell’episodio, che chiama in causa la lealtà di un soldato nei confronti dell’esercito ma anche quella di un confidente rispetto alla sua fonte, ha ovviamente sollevato vari commenti in rete.  Wikileaks spara a zero contro “giornalisti” come Adrian Lamo e Kevin Pulsen, il reporter di Wired che ha dato la notizia, affermando che meritano “l’inferno”.
Un esperto di sicurezza come Tom Rick, che tiene un blog sul sito della rivista Foreign Policy, si dice d’accordo con la punizione del soldato anche se invita l’esercito Usa a tenere lo stesso comportamento nei confronti dei torturatori di Abu Grahib: “hanno fatto molti più danni ai nostri valori e al nostro Paese”.

Sul filo dei distinguo corre anche l’analisi di John Daly di TechEye che non approva il comportamento di Lamo ritenendo però che Poulsen, in quanto giornalista, aveva tutto il diritto di pubblicare la storia. Per il settimanale Economist, infine, la morale della vicenda è che “nessuna tecnologia può proteggere gli informatori da se stessi”. Il riferimento è al sistema di Wikileaks che, attraverso crittografia e server sparsi in nazioni che assicurano ampie protezioni alla libertà di espressione, garantisce che nessuno possa impedire la pubblicazione dei documenti e che la fonte resti anonima. Salvo, ovviamente, che la fonte non si smascheri da sola.

Attivo dalla fine del 2006, Wikileaks è diventato famoso per una serie di importanti e talvolta controversi scoop. Tra questi, la pubblicazione, nel novembre 2009, della corrispondenza elettronica di alcuni importanti scienziati che studiano il cambiamento climatico, seguita dai 570 mila messaggi di testo inviati da cerca-persone americani il giorno degli attacchi dell’11 settembre, tra cui quelli di alcuni funzionari del Pentagono e della polizia della città di New York. Tra le sue rivelazioni più importanti ci sono anche le procedure seguite dall’esercito americano per il trattamento dei detenuti nelle prigioni di Guantanamo Bay.

 

Wikileaks, l’acchiappa-segreti. Il video dell’attacco americano è l’ultimo di una serie di scoop del sito nato per svelare i segreti e mettere in difficoltà i potenti. I suoi creatori sperano che la rinnovata popolarità aiuti il servizio, che ha bisogno di fondi, a sopravvivere

 

L’ultimo scoop ha riportato Wikileaks al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e potrebbe aiutare il servizio, in difficoltà economica, a sopravvivere. La rivelazione, il 5 aprile scorso, del video di un’operazione dell’esercito americano a Baghdad nella quale hanno perso la vita 12 persone, tra cui due impiegati dell’agenzia di stampa Reuters, ha infatti riacceso i riflettori sul sito che, causa mancanza fondi, negli ultimi tempi ha ridotto sensibilmente le attività.

Creato nel 2007 da un gruppo di attivisti guidati dall’australiano Julian Assange, giornalista e hacker etico, Wikileaks ambisce ad essere un porto sicuro per tutti coloro che, in possesso di documenti riservati, vogliono renderli pubblici. Agli informatori garantisce anonimato e una piattaforma sicura con server distribuiti in quei Paesi (come Stati Uniti, Belgio o Svezia) che offrono migliori garanzie per la protezione della libertà di espressione.

L’importanza del documento, che getta luce su un evento accaduto il 12 luglio 2007, è servita a riportare in primo piano l’importanza giornalistica di questo servizio, in grado di sfruttare Internet per accedere a materiali che sfuggono anche all’azione investigativa di grandi testate. Come ha ricordato il Times di Londra “nessun segreto è al sicuro da Wikileaks”. Mentre il New York Times lo ha definito “una spina nel fianco delle autorità americane e estere”. Il più popolare quotidiano del mondo descrive quel mix di “giornalismo investigativo e attivismo” che costituisce il marchio di fabbrica dell’impresa riconoscendogli un ruolo innovativo nel panorama informativo contemporaneo: “rivelando un video dal forte impatto, che i media avevano invano cercato di ottenere per vie tradizionali, Wikileaks si è inserito nella discussione nazionale sul ruolo del giornalismo nell’era digitale”.

Dopo tutto, Wikileaks non si considera in concorrenza con i media organizzati ma si pone esplicitamente al loro servizio e conta sui reporter di professione per dare visibilità ai materiali pubblicati e approfondire le questioni sollevate. In questo senso, i curatori del sito possono considerare un successo anche il ritratto, di parole e immagini, che il New York Times ha dedicato Namir Noor-Eldeen, il giovane fotoreporter ucciso nell’attacco. O il servizio di Al Jazeera che ha intervistato i due bambini feriti dall’azione Usa, mostrando sui loro corpi gli effetti, tuttora ben visibili, dei colpi partiti dagli elicotteri Apache.

Altrettanto apprezzate sono state le prime analisi sulla legalità delle azioni dei militari americani, come quelle proposte da Newsweek e dal New Yorker. Il settimanale newyorchese fa notare come la visione delle immagini ispiri più di un dubbio riguardo alla legalità di alcuni aspetti dell’operazione, in particolare, riguardo alla proporzionalità della reazione, l’identificazione dei combattenti, il ruolo del comando e il trattamento dei combattenti feriti.

La speranza della squadra di Wikileaks è ora che il clamore suscitato dal video possa aiutare l’organizzazione ad incrementare le donazioni e raggiungere quei 600 mila euro necessari, da qui a fine anno, per riprendere le attività a pieno regime. Tra i materiali in procinto di essere pubblicati, fanno sapere, ci sarebbe anche un altro video che documenterebbe un bombardamento americano in Afganistan in cui sarebbero morti 97 civili. Ma per completare l’opera di decrittazione servono fondi.

I migliori scoop di Wikileaks

Il saccheggio del Kenya
Nell’agosto 2007 Wikileaks rende pubblico un rapporto redatto dalla società di consulenza internazionale Kroll che documenta l’enorme corruzione facente capo alla famiglia di Daniel Arap Moi, l’ex leader del Paese. Il testo rivela che Moi avrebbe sottratto al patrimonio pubblico nazionale l’equivalente di oltre 1 miliardo di sterline. Il documento è la base di un’inchiesta pubblicata sulla prima pagina del quotidiano inglese The Guardian.

Le procedure di Guantanamo
Nel novembre 2007 Wikileaks pubblica una copia delle Standard Operating Procedures for Camp Delta, il protocollo seguito dall’esercito americano per il trattamento dei detenuti nelle prigioni di Guantanamo Bay. Il documento rivela, tra le altre cose, come alla Croce Rossa internazionale fosse impedito l’accesso ad alcuni prigionieri.

Le email sul riscaldamento globale
Nel novembre 2009 Wikileaks è tra quei siti che rendono pubblica la corrispondenza elettronica tra alcuni importanti scienziati che studiano cambiamento climatico. Alcune frasi ambigue presenti nelle e-mail vengono lette dal fronte degli scettici come la dimostrazione che i dati sul riscaldamento globale sono stati “aggiustati”.

Gli sms dell’11 settembre
Il 25 novembre dell’anno scorso Wikileaks rende pubblici 570 mila messaggi di testo inviati da cerca-persone americani il giorno degli attacchi dell’11 settembre. Tra questi messaggi ci sono quelli di alcuni funzionari del Pentagono e della Polizia della città di New York.

 

Raffaele Mastrolonardo

La “talpa” di Wikileaks finisce nei guaiultima modifica: 2010-06-12T15:57:00+02:00da
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