Oncologia. Tutte le novità dal congresso mondiale di Chicago: Cure più diversificate e cocktail terapeutici
(Grazia Neri) |
CHICAGO — Siamo entrati nella terza era delle cure anticancro: quella della diversificazione. Dopo la chemioterapia, che agisce impedendo la moltiplicazione delle cellule tumorali (ma anche di quelle sane), dopo la targeted therapy, la terapia cosiddetta personalizzata, che va a colpire bersagli molecolari del tumore (ma che spara un pò nel mucchio e tanto personalizzata, finora, non è), la lotta al cancro prende nuove rotte. E diventa sempre più complessa per chi la deve gestire (i medici) e per chi dovrebbe capirne la portata (i pazienti, il pubblico in generale e anche gli amministratori che devono pensare ai costi). All’Asco, il congresso annuale più importante al mondo per gli oncologi, appena concluso a Chicago, sono emerse le nuove tendenze delle cure, con la presentazione di farmaci già in via di registrazione, perché hanno superato le verifiche degli studi clinici, e di composti ancora nella «pipeline» delle aziende farmaceutiche, in fase, cioè, di sperimentazione più o meno avanzata, che diventeranno i farmaci del futuro. Le nuove molecole (tantissime, nell’ordine delle centinaia) sono il prodotto di ricerche che partono da filosofie diverse di lotta al cancro.
BLOCCARE I RIFORNIMENTI – Uno degli approcci terapeutici più originali ha come obiettivo non tanto quello di colpire il tumore, ma quello di agire sull’ambiente che lo circonda. Avanguardia di questa strategia sono stati i composti anti-angiogenesi: bloccano la proliferazione dei vasi sanguigni e privano il tumore di ossigeno e nutrienti per la crescita. Ora sta arrivando sul mercato un farmaco anti-melanoma, l’ipilimumab, un anticorpo monoclonale che agisce sul sistema immunitario dell’organismo e in particolare sui linfociti (globuli bianchi) togliendo un «blocco» che impedisce a queste cellule di aggredire il tumore: è la nuova immunoterapia. Il principio è simile a quello della vaccinazione, un altro approccio che si sta facendo strada in campo oncologico e il primo vaccino contro il tumore alla prostata è stato appena registrato negli Stati Uniti. La seconda linea strategica, molto più complessa, sfrutta specifiche caratteristiche metaboliche o genetiche del tumore, che stanno alla base della sua crescita incontrollata, andando a colpirne i punti-chiave, meglio se contemporaneamente. «Le vie che attivano la proliferazione delle cellule sono diverse — spiega Filippo de Braud che lavora all’Istituto Europeo di Oncologia a Milano ed è membro dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco — e ognuna è caratterizzata da una successione di eventi innescati da uno stimolo. Ecco allora che è possibile bloccare, con i farmaci, queste vie sia orizzontalmente che verticalmente. Orizzontalmente quando vado a colpire più punti da cui hanno origine gli stimoli proliferativi. Oppure verticalmente, quando blocco lo stimolo iniziale e di conseguenza impedisco la cascata di eventi successivi che portano alla proliferazione».
FARMACI MULTIFUNZIONE – L’idea, dunque, è quella di «farmaco multifunzione», capace cioè di aggredire il tumore su più fronti in contemporanea: ce ne sono tanti in sperimentazione, ma nessuno è in commercio. «I più interessanti – aggiunge de Braud – sono le cosiddette “piccole molecole” (small molecules)». Interessanti perchè sono piccole e possono essere prodotte da batteri (e non da cellule umane come gli anticorpi monoclonali), sono formate da singole catene e si possono allungare e accorciare con facilità, non danno reazioni allergiche e possono essere «caricate» alle due estremità con altre molecole antitumorali. In attesa di questi nuovi composti, gli oncologi si stanno sempre più orientando, in clinica, verso i cocktail di farmaci (anche di anticorpi monoclonali, quei composti il cui nome termina in -mab) per potenziarne l’effetto. Una ricerca condotta da Luca Gianni, oncologo dell’Istituto Tumori di Milano sul tumore al seno, ha dimostrato, per esempio, che la combinazione di due anticorpi monoclonali non solo è efficace sul tumore, ma attiva anche il sistema immunitario. Altro bersaglio delle nuove terapie sono i geni o i prodotti di geni. «L’Emea (l’ente europeo per l’approvazione dei farmaci, ndr) — dice Giorgio Scagliotti, pneumologo e oncologo all’Università di Torino — ha registrato un farmaco, il gefitinib (già in Italia, ndr), per il tumore al polmone cosiddetto non a piccole cellule in fase avanzata, sulla base di una specifica mutazione di un gene». La mutazione riguarda il gene Egfr (cioè il recettore per il fattore di crescita dell’epidermide) e fa sì che la cellula proliferi più attivamente: il farmaco, che si somministra per bocca, funziona soltanto nei pazienti che presentano questa alterazione. «La vicenda del gefitinib è interessante — commenta Pierfranco Conte, oncologo all’Università di Modena — . Il farmaco sembrava funzionare poco e ci sono voluti sette o otto anni per capire che può invece essere molto efficace su certi pazienti, quelli appunto con la mutazione. I farmaci, che abbiamo oggi, offrono vantaggi limitati a tanti pazienti, in futuro offriranno grandi vantaggi a pochi pazienti. Per fare questo è indispensabile ricorrere alla diagnostica molecolare, alla ricerca delle caratteristiche specifiche per ogni singolo tumore». Altro esempio di mutazione per il tumore al polmone non a piccole cellule: questa volta è il gene Alk (produce un enzima, chiamato chinasi, isolato per la prima volta nei linfomi) che si fonde con un altro gene e dà origine a una proteina di fusione capace di stimolare la crescita cellulare; su quest’ultima, secondo studi preliminari presentati a Chicago, funziona bene un nuovo farmaco, il crizotinib. «È l’inizio della storia – continua Scagliotti – occorre proseguire sulla strada del sequenziamento totale dei geni del tumore alla ricerca di quali e quante mutazioni sono correlate alla malattia e su queste informazioni progettare farmaci specifici». È questa la vera personalizzazione del trattamento. Ultimo capitolo: le cellule staminali cancerose, quelle che «seminano» metastasi e nuovi tumori. I ricercatori stanno cercando di identificare alcuni loro enzimi specifici (della classe delle chinasi) contro cui indirizzare i farmaci, comprese le «piccole molecole». C’è solo da chiedersi se questo futuro sarà sostenibile da parte dei sistemi sanitari o dalle tasche dei cittadini.
Adriana Bazzi