La Commissione del Comune approva il progetto del quale parlò a Berlusconi. Il sindaco Pd: non ne sapevo nulla, la decisione finale spetterà a uffici legati al ministero di Bondi
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Patrizia D’Addario (LaPresse) |
ROMA — «Vedete che il ruolo del governo alla fine era davvero importante? Sarà il ministro Bondi, o magari Berlusconi in persona, a dover dire l’ultima parola sul residence di Patrizia D’Addario. Era destino…». Il sindaco di Bari, Michele Emiliano, scherza ma fino a un certo punto. Dice di aver appreso dai giornali che finalmente, dopo anni d’attesa, l’escort barese ha ricevuto l’ok tecnico per ristrutturare il vecchio rustico di famiglia vicino al torrente Montrone e trasformare, così, la bivilletta rossa anni ’70 che oggi cade a pezzi in un residence elegante con tanto di centro benessere.
Il primo cittadino pd chiama in causa Roma, ma la «Commissione locale per il paesaggio» che ha dato il via libera è un organo nominato proprio dal Comune che lui stesso dirige. «Eh no — continua Emiliano —. Adesso non dite che l’ho autorizzata io la D’Addario per farle un favore, eh? Perché non è vero. Io non ne sapevo niente e non ho autorizzato un bel niente. E sapete perché? Perché non ho alcun controllo politico, nessun potere d’indirizzo in materia. Sono pratiche in mano agli uffici. È come per il rilascio di una carta d’identità: vi risulta che il sindaco ci possa metter bocca? La parola definitiva, comunque, spetterà alla Direzione regionale per i Beni architettonici, che è un organo periferico dei Beni culturali. Dunque, come vi dicevo, tocca a Bondi…».
Il residence vicino al torrente Montrone è il sogno della vita per Patrizia D’Addario, un obiettivo inseguito a lungo «per mantenere la promessa fatta a mio padre». Tanto che la donna chiese aiuto perfino a Berlusconi, nell’autunno di due anni fa, quando, accompagnata dall’imprenditore barese Gianpi Tarantini, andò per due volte a Palazzo Grazioli portandosi dietro pure il registratore. «La seconda volta — raccontò poi ai giornali—quando sono rimasta tutta la notte con Berlusconi, non ho avuto nulla in cambio se non la promessa che sarei stata aiutata a costruire finalmente quel residence per il quale ho le carte in regola e ho pagato già per ben quattro volte gli oneri di edificabilità». L’aiuto del premier, però, non arrivò mai. Lunedì scorso, invece, la Commissione per il Paesaggio — composta da 5 membri esterni, un archeologo, un agronomo, un ingegnere, un architetto e un geologo, tutti vincitori di un bando pubblico e scelti, in base ai curricula, da una commissione del Comune presieduta dal segretario generale—ha accolto la domanda della signora.
Il progetto iniziale, comunque, era già stato modificato. Nell’aprile 2009, infatti, la D’Addario aveva chiesto di poter demolire e ricostruire la villa di famiglia. «Ma quella è un’area vincolata — spiega Anna Maria Curcuruto, direttore della Ripartizione urbanistica ed edilizia privata del Comune — perché si trova a ridosso di una “lama”, cioè il solco di un antico corso d’acqua. E dunque niente si può costruire ex novo, non si possono aggiungere volumetrie, per aprire il centro benessere ci sarà bisogno dell’ok della Asl…». Come diceva Emiliano, però, la via crucis burocratica per Patrizia D’Addario non è finita. Ora, il giudizio della Commissione per il paesaggio finirà al vaglio della Sovrintendenza ai beni architettonici, che ha 45 giorni di tempo per esprimersi. Dunque, ferie permettendo, se ne riparla forse a Ferragosto.
Fabrizio Caccia