Il racconto dell’ex boss di forcella. Ma il cantante non era presente alla richiesta di morte
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Il pentito Luigi Giuliano |
NAPOLI – Secondo il boss pentito Luigi Giuliano, suo cognato Giuseppe Roberti (oggi arrestato con altri due) gli chiese di aiutarlo ad uccidere Nicola Gatti nel corso di un colloquio nell’ufficio in cui lavorava insieme ad alcuni cantanti, tra cui Gigi D’Alessio (del tutto estraneo all’inchiesta e non presente alla richiesta di morte). Giuliano chiarisce anche perché, a suo avviso, il cognato sbagliava a considerare la relazione tra Nicola e le figlie un disonore: Roberti, infatti, aveva accettato in silenzio la relazione tra la moglie Celeste ed il boss del Vasto Patrizio Bosti.
LE PAROLE DEL PENTITO A VERBALE – Questo il racconto di Giuliano: «Roberti Giuseppe “capa vacante’”(testa vuota, ndr) venne da me e voleva che io mi occupassi di uccidere quel giovane, che, a suo dire, aveva disonorato sua figlia Gemma, nel senso che aveva indotto quest’ultima a prendere la droga. Io gli dissi: Peppino, lo sai che io mi sono inserito in un ambiente artistico, culturale; non è che non voglio farti il piacere, solo sto cercando di uscire da quell’ambiente malavitoso. Era infatti il periodo in cui io stavo scrivendo poesie, avevo contatti con i cantanti, e poi stavo cominciando a pensare di uscire da quel mondo malefico. E poi io pensai che, se aveva sbagliato il ragazzo, aveva sbagliato anche la moglie di “capavacante”, cioè mia sorella Celeste. Già nel 1984 mia sorella Celeste divenne l’amante di Bosti Patrizio; io lo venni a sapere, ne parlai nella mia famiglia e tutti mi dissero che io ero pazzo a dire una cosa del genere, che si trattava, da parte mia, di un’insinuazione calunniosa, perché non era possibile questo fatto. Celeste giurava che non era vero; ma poi il tempo mi ha dato ragione. In pratica io non mi fidavo né di lui né di mia sorella. Quanto a lui, si trattava di un confidente dei carabinieri, poi faceva trovare le armi alla polizia, facendo arrestare gente innocente; poi si è fatto i miliardi. Insomma, quando vedevo lui e la moglie, cioè mia sorella, mi veniva voglia di fuggire, perché per me loro due erano la stessa cosa. Insomma, lui mi diceva che, a causa di quel ragazzo, era entrato il disonore a casa sua, ma io pensai che lui, l’onore, non lo aveva mai avuto, proprio a causa di quello che ora ho raccontato a proposito di sua moglie».
TESTIMONI CAPASSO E D’ALESSIO – Alla domanda del pm sul periodo in cui Roberti gli fece quella richiesta, Luigi Giuliano risponde: «Verso l’inizio degli anni ’90. Dico questo perché ricordo che lui venne nell’ufficio che io avevo aperto in via Cesare Sersale, nella zona di Forcella; in questo ufficio vi era attrezzatura musicale (chitarre, pianoforti, ecc.) e lì mi incontravo con i cantanti (tra cui Gigi D’Alessio), con Massimo Capasso (un diacono) e scrivevo canzoni. Potete citare come testimoni Massimo Capasso ed anche Gigi D’Alessio, che, artisticamente parlando, è nato in quell’ufficio».
MA GIGI E’ ESTRANEO – Il cantante come si evince dalla lettura degli atti dell’inchiesta, non ha infatti partecipato all’incontro tra l’ex boss Luigi Giuliano e il cognato di quest’ultimo Giuseppe Roberti. Secondo quanto emerge dal verbale di interrogatorio del pentito Giuliano, D’Alessio avrebbe potuto soltanto parlare della sua frequentazione per motivi di carattere artistico del locale dove poi si sarebbe verificato il colloquio. Tuttavia tale circostanza è stata ritenuta del tutto irrilevante ai fini dell’indagine dai magistrati della Dda di Napoli, che pertanto hanno deciso di non interrogarlo.
Titti Beneduce