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Il premier: i finiani? Li credevo di meno. Ma non andremo al voto anticipato

L’ANALISI DEL CAVALIERE. Deluso dal ddl intercettazioni: se non fosse un piacere all’opposizione, lo ritirerei

 

(d. ma.) La tentazione l’ha avuta, ma l’ipotesi di andare a elezioni anticipate Silvio Berlusconi ora la respinge con forza. Nel primo weekend di quiete (forse) trascorso a Torre Crescenza, nella residenza Borghese, il premier ha cercato di misurare, a mente più fredda, la reale forza della sua maggioranza dopo la rottura con Fini. Precaria. Non nasconde qualche delusione: pensava che i deputati di Futuro e Libertà non superassero le ventisei, al massimo ventisette unità e non arrivassero a quota trentatré, come in realtà è accaduto. Ma non dubita sulla loro lealtà al governo e si aspetta che la prima prova si possa avere con la votazione sulla mozione di sfiducia al sottosegretario alla Giustizia Caliendo, indagato dalla procura di Roma per violazione della legge Anselmi sulle società segrete.

Il premier Berlusconi

Tranquillo? Non proprio. Berlusconi deve essersi accorto che il costo d’immagine per il suo governo, specialmente all’estero, è tutt’altro che trascurabile. E si propone di correre subito a ripari. Vacanze di lavoro e l’annuncio che il cammino delle riforme, a cominciare dal federalismo fiscale, che preme alla Lega, refrattaria al voto anticipato, riprenderà deciso alla ripresa autunnale. Però, c’è qualcosa che turba in modo particolare il premier ed è probabilmente una preoccupazione che deve avergli trasmesso il ministro dell’Economia Tremonti. Va bene il regolamento dei conti con i finiani, andato peraltro non esattamente nel modo sperato, ma stiamo attenti ad altri conti. Più importanti. Quelli con i mercati internazionali. La speculazione è sempre in agguato. Lo spread, un termine inglese che usa anche il premier, e stranamente, ovvero la differenza fra i rendimenti dei nostri titoli di Stato e quelli dei principali Paesi europei, indicatore sensibile della credibilità nell’onorare le scadenze del proprio debito pubblico, è tenuto costantemente sotto controllo. È bene dire subito che non vi sono motivi immediati di preoccupazione. Lo spread con il bund tedesco è stabile a 130, quello con la Spagna a 28. L’approvazione della manovra e i segnali di ripresa dell’economia reale completano un quadro difficile ma nemmeno così critico nel confronto con le altre economie europee.

Berlusconi non vuole passare per un’anatra zoppa, o come un premier orgoglioso ma ferito dal fuoco amico e con una maggioranza a rischio. No, non ci sta. Lui si considera il numero uno in Europa: snocciola i gradimenti, bassi, degli altri leader, Merkel e Sarkozy a testimonianza del grado di tenuta del proprio governo. Non vi sarà alcuna crisi, afferma con decisione. Non c’è il rischio di un ricorso anticipato alle urne e l’ipotesi che si possa formare un governo tecnico è semplicemente fuori dalla realtà. Eppure i numeri, glielo ricordiamo, soprattutto alla Camera, suonano amari. Berlusconi spiega le adesioni alla truppa finiana, superiori al previsto, con qualche delusione personale di troppo, e con una forma sottile di ricatto che sarebbe stata esercitata da chi, leggi il presidente della Camera, avrebbe reso possibile la candidatura di molti dei fuoriusciti. Insiste nel sottolineare che ha parlato e parlerà con ognuno di quei trentatré. Hanno firmato il documento di costituzione al nuovo gruppo ponendo tre condizioni. La certezza che gli “esagitati”, Bocchino, Briguglio e Granata non avrebbero ricoperto incarichi direttivi, la fedeltà al governo e il voto in sintonia con le sue leggi. Spiegata così, la frattura sembra il distinguo blando di una corrente della maggioranza. Le parole di Fini? Non hanno importanza o almeno non sembrano averne. Il premier è felice dell’ipotesi che il sottosegretario Roberto Menia, che mostra di apprezzare, possa diventare capogruppo. Lo ha sentito ieri al telefono. D’ora in poi sarà lui il suo interlocutore privilegiato. Fini non esiste o si fa in modo che sembri non esistere. Il suo gruppo vale elettoralmente, secondo le proiezioni dei suoi esperti, tra l’1,2 e l’1,4 per cento, se si presenta da solo, e tra il 3 e il 4 per cento se si apparenta con il Popolo della Libertà. Quando aderì al nuovo partito, An non andava, sempre secondo le parole del premier, al di là del 6 per cento. E fu questa una ragione per entrare nel Pdl, da solo Fini avrebbe avuto paura di una debacle elettorale.

E al Senato, Cavaliere? Cinque dei dieci senatori che si appresterebbero a formare il gruppo di Futuro e Libertà a palazzo Madama sarebbero, nelle sue parole, sul punto di tornare indietro. E lo avrebbero fatto, o starebbero per farlo, dopo una sua telefonata. E dunque addio al gruppo finiano al Senato e un colpo definitivo all’ipotesi di un governo tecnico che non avrebbe i numeri per costituirsi. Staremo a vedere. Un ragionamento di questo tipo è stato fatto ieri, in una lunga telefonata, anche al capo dello Stato, il quale ha ribadito al premier di essere soltanto un osservatore dell’evoluzione assai caotica e confusa del quadro politico. Napolitano ha precisato ancora una volta di avere un’unica preoccupazione: che una sorta di guerriglia politica non metta in discussione il ruolo istituzionale del presidente della Camera. Il parallelo con Pertini non ha senso. Se il governo è forte e la maggioranza stabile siano i fatti a dimostrarlo. Il rifinanziamento delle missioni all’estero, il voto sulla riforma universitaria, il via definitivo alla manovra (quando la Germania l’ha rinviata a settembre!) sono avvenuti in pochi giorni. Governo e Parlamento avrebbero tutto il diritto di vantare una prova di efficienza non disprezzabile delle istituzioni del Paese, è stato in sintesi il pensiero del capo dello Stato. Dunque: no ad elezioni anticipate. Sollecitazioni in questo senso sarebbero arrivate al premier anche da settori dell’opposizione e dello stesso Pd. L’offerta di allargare la coalizione all’Udc rimane sempre valida. Il posto di Scajola è libero, anche perché l’ipotesi di Romani si è scontrata con i dubbi, legati alla legge sul conflitto d’interessi, del Quirinale. Ma i ripetuti no di Casini non sono piaciuti a Berlusconi il quale parla dell’ex alleato come di un modesto calcolatore di convenienze politiche e di consenso di breve respiro. Ma se ci fosse lui, la Lega sarebbe di più facile contenimento o meglio esonderebbe di meno. Il premier fa l’esempio delle ronde, che lui non voleva. E che sono state un autentico fallimento. Ecco, se ci fosse stato Casini, l’avremmo contrastata meglio la Lega, dice il premier. Già, ma allora perché fu deciso, dopo il famoso discorso del predellino e la nascita del Pdl, di lasciarlo fuori il leader centrista?

Il disegno di legge sulle intercettazioni non sembra interessare più al premier. Lo considera svuotato (per fortuna aggiungiamo noi) e inefficace. Se non finisse per fare un piacere all’opposizione, lo ritirerebbe. Sarà votato alla ripresa. E se è necessario ne sarà fatta un’altra di legge sulle intercettazioni. Il cammino delle riforme, nelle intenzioni del premier, dovrebbe riprendere dopo le ferie con una forte accelerazione del federalismo fiscale che si pone come obiettivo anche un concreto risparmio sul versante della spesa, specie sanitaria. L’eventuale beneficio potrebbe andare per metà a riduzione del deficit e per l’altra metà a favorire l’adozione sul versante fiscale del quoziente familiare e il contenimento dell’Irap. Poi toccherà alla giustizia e alla riforma istituzionale. Se ci sarà il tempo, e se me lo faranno fare, conclude il premier.

Voto anticipato, governo tecnico, maggioranza a rischio oppure forte di possibili e nuove alleanze? Le incognite sul futuro del governo occupano le prime pagine dei quotidiani edicola. E’ ancora lo strappo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini al centro del dibattito politico.
Gli scenari sono i più diversi, e l’incertezza regna sovrana. Basta guardare i tiolo di apertura de La Repubblica e il Corriere della Sera.
Berlusconi minaccia il voto” scrive il quotidiano di Ezio Mauro.
Berlusconi: no al voto anticipato” dicono invece da via Solferino.

Il Corriere della Sera parla di un Berlusconi che non ha intenzione di trattare con Fini e che, allo stesso tempo, di ce no al voto anticipato.
“Incognite di un divorzio” titola per l’appunto l’editoriale di Sergio Romano. “Ciò che non sappiamo e non possiamo prevedere è molto più di ciò che sappiamo” scrive il giornalista.

Repubblica, invece, precisa con l’articolo a firma di Francesco Bei: “Berlusconi cerca di rassicurare i suoi”.

Il premier, infatti, ostenta sicurezza e lo fa illustrando risultati concreti. “Il governo è forte – ha dichiarato – Lo provano le “ quattro riforme realizzate in questa settimana”. Per ora, dunque, il presidente del Consiglio punta ad abbassare i toni, a passare l’estate. E poi si vedrà.

A puntate il dito contro il presidente della Camera ci pensa Libero: “Con Silvio già 25 finiani” titola a prima pagina e poi, rispolverando vecchie ma non sopite polemiche aggiunge: “La Rai gira 2 milioni a Fini”. L’articolo di Franco Bechis parla di Fini “bamboccione” e pubblica lo stato di famiglia della terza carica dello Stato: “Elisabetta (Tulliani, compagna di Fini, ndr) è il capofamiglia”.

Stessi toni anche per il quotidiano il Giornale: “Così è diventata ricca Lady Fini” scrive il quotidiano di Vittorio Feltri. E pubblica le carte dell’accusa di Luciano Gaucci contro la ex fidanzata Elisabetta Tulliani, ora compagna del presidente della Camera.

Quando il caimano ordina distruggete Fini”. E’ il titolo a tutta pagina del Il fatto Quotidiano. “Primo: indebolirlo con campagna acquisti nel suo campo Secondo: sputtanarlo con dossier sul suo patrimonio Terzo: non dargli tregua sulle tv di regime, anche ad agosto“.

Non ha invece dubbi il Manifesto che strilla: “Al voto, al voto”.
Secondo l’Unità, invece “Silvio è ostaggio di Bossi”.

E la Padania, intanto, rassicura i suoi: “Il federalismo si farà”.

Il premier: i finiani? Li credevo di meno. Ma non andremo al voto anticipatoultima modifica: 2010-08-01T12:18:31+02:00da
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