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Vedevano poco o nulla, a Venezia i body scanner finiscono in magazzino

Interrotta la sperimentazione all’aeroporto Marco Polo dove erano entrati in funzione per i voli verso gli scali degli Usa

 

Roberto Maroni prova i body scanner a Venezia il 26 marzo 2010 (archivio)

VENEZIA — I body scanner dell’aeroporto Marco Polo di Venezia sono stati smontati e giacciono malinconicamente in magazzino. La sperimentazione per i controlli di sicurezza sui viaggiatori diretti negli Stati Uninti è terminata proprio nel momento di massimo traffico estivo. Dalle postazioni monitor degli scanner in dotazione, che erano stati messi in funzione alla fine dello scorso marzo, l’immagine che appariva dei passeggeri non è risultata adeguata: non c’era sufficiente dettaglio per consentire agli addetti alla security dell’aeroporto e alle forze di polizia un alto livello di vigilanza. Per questo, dalle prime settimane di luglio i body scanner non sono più stati utilizzati. La sperimentazione dovrebbe ripartire in settembre, con l’eventuale utilizzo di apparecchi più efficaci che permettano di gestire meglio i flussi di viaggiatori e siano più utili ai controlli anti-terrorismo. Tra il mese di maggio e lo scorso mese di luglio i passeggeri diretti negli Stati Uniti sono stati 34.700 con destinazione New York, 11.500 per Philadelphia, 11.248 per Chicago, 10.112 alla volta di Los Angeles e 8.800 per San Francisco.

A Venezia i controlli venivano eseguiti a campione sui passeggeri, che peraltro potevano anche rifiutarsi (e nel caso si procedeva con la perquisizione «tradizionale» e il metal detector). Sui monitor degli addetti all’accesso alle porte d’imbarco, si vedeva solo la sagoma del passeggero e un’area più scura nel caso ci fosse stato un oggetto sospetto. Il modello di scanner sperimentato — o meglio i due modelli, perché ce n’era uno fisso ai varchi per i voli verso gli Stati Uniti (costo: 60 mila euro) e uno mobile (costo: 38 mila euro)—era inedito in Italia. E si differenziava da quelli installati a Fiumicino e a Malpensa – più precisi nel definire il corpo, anche a dispetto della privacy – perché la strumentazione voluta era di tipo «passivo»: senza alcuna emissione di onda o energia, rilevava le onde millimetriche emesse naturalmente dal corpo umano. Non c’era problema di presunti danni alla salute né di privacy, visto che l’immagine sul monitor, pur corrispondendo alla persona in transito, risultava stilizzata, senza rendere visibili le parti intime. Con questa tecnologia, gli eventuali oggetti nascosti sotto i vestiti dovrebbero essere rivelati tramite la differenza di calore, con un sistema teoricamente più efficace del normale metal detector. L’esperienza veneziana, di fatto, l’ha bocciato. I body scanner erano stati installati al Marco Polo su decisione del ministero dell’Interno, che aveva messo a disposizione dell’Enac due milioni di euro per coprire la sperimentazione. Anche a Fiumicino e Malpensa sono installate le strumentazioni, ma si tratta di apparecchi ben più sofisticati, prodotti dai due colossi americani «General Electrics» e «L3 Communication » (costano 120 mila euro a scanner). L’Italia è stata uno dei Paesi europei più rapidi ad accettare la sperimentazione dopo il fallito attentato alla vigilia dello scorso Natale sul volo Klm da Amsterdam a Detroit, che aveva riportato nuovamente l’allarme internazionale per la sicurezza negli scali.

Ma.Gal.

Vedevano poco o nulla, a Venezia i body scanner finiscono in magazzinoultima modifica: 2010-08-09T16:11:48+02:00da
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