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Sub ucciso a Posillipo, parla l’investitore «Moriva e zero soccorsi, sono disperato»

Disperato nella sua solitudine chiede rispetto per il ragazzo morto e per i suoi familiari nell’attesa della sentenza.

NAPOLI – La voce di Gianluca Pelliccio è un rantolo al telefono. I singhiozzi cancellano ogni parola «non posso vivere così, non si può vivere così», le parole si intuiscono appena tra un sussulto e l’altro; in sottofondo la voce rassicurante della moglie «Non piangere, ti prego».
Il 42enne era alla guida del gommone che martedì ha travolto il sub Pasquale Testa (conosciuto come Luca) nel mare antistante villa Rosebery. Da quel giorno Pelliccio è chiuso in casa, ieri non era nemmeno presente all’udienza per la nomina dei periti.

Risponde al telefono senza neanche dire «pronto», si sentono solo i singhiozzi e la frase ripetuta meccanicamente «non posso vivere. Non potete capire, così non si può vivere». Le parole che in questa intervista leggete una di seguito all’altra sono state pronunciate a fatica, tra sussulti e lacrime.

Cosa prova?

«Sto male, sono dilaniato, straziato. Avrei fatto qualunque cosa per salvarlo, se ho sbagliato chiedo perdono ma vi prego, dovete credermi, abbiamo fatto di tutto. Ora sono travolto solo da un dolore immenso, per la sorte di quel povero ragazzo, per la sua famiglia. Io sono semplicemente un uomo disperato. L’ho visto morire davanti ai miei occhi. Se solo avessi potuto avrei evitato in ogni modo questa tragedia. Se solo avessi potuto…».

Ha ricordi nitidi di quei momenti?

«È tutto concitato: le urla, lo strazio che ho provato, lo sguardo atterrito di chi stava intorno a me, le difficoltà nel portare a bordo il ragazzo: era pesante, abbiamo dovuto sollevarlo in tanti. E poi le preghiere che ripetevo e ripetevo perché tutto andasse bene».

Quanto avete impiegato a portare a bordo il sub?

«Abbiamo fatto il possibile, era un ragazzone, lo sforzo per tirarlo a bordo è stato immenso. Abbiamo impiegato dieci minuti, un quarto d’ora al massimo. A me è sembrato un tempo infinito, lo vedevo soffrire. Ma quando siamo riusciti a raggiungere la riva ero ancora speranzoso. Respirava, era vivo. Ho pensato che lo avrebbero salvato. Pregavo».

Poi?

«Quando siamo riusciti ad attraccare siamo rimasti attoniti. Solo in quel momento ci siamo accorti che a terra non c’erano i soccorsi, l’ambulanza non era ancora arrivata. Sono stati momenti terribili e lunghissimi. Gli asciugamani erano imbevuti di sangue e non bastavano più».

C’era gente attorno a voi?

«Ricordo delle persone, non saprei dire quante. Parlavano a voce alta, chiamavano i soccorsi, si disperavano perché non arrivava nessuno a dare aiuto a quel ragazzo che stava morendo».

Lei è l’unico indagato in questo momento

«Se verranno accertate mie responsabilità le accetterò. Oggi l’unico sentimento che provo è la disperazione più assoluta e profonda per quello che è accaduto. Voglio dire solo che bisogna avere rispetto per il dolore dei familiari che è immenso. Anche la mia disperazione è grande, non so come riuscirò a vivere ripensando a quel ragazzo che è morto davanti ai miei occhi».

Paolo Barbuto

Sub ucciso a Posillipo, parla l’investitore «Moriva e zero soccorsi, sono disperato»ultima modifica: 2010-08-27T12:31:15+02:00da
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