Gli studiosi: «avremmo dovuto trasferirli in italia». Erano in un cratere scoperto da un’équipe di italiani in Egitto grazie a Google Earth . «Le razzie? Uno scempio»
Ricordate il cratere scoperto nel deserto egiziano da un’équipe di scienziati italiani, dopo una ricognizione virtuale su Google Earth? Ebbene, decine di chili di frammenti del grosso meteorite metallico che lo provocò, piombando dal cielo qualche migliaio di anni fa, ora si trovano in vendita su eBay e sulle bancarelle dei mercati di minerali in giro per il mondo. Basta inserire nei motori di ricerca su Internet la frase «Gebel Kamil Meteorite» (il nome della località nell’Egitto Meridionale) per veder comparire un profluvio di immagini e di offerte: da 15 euro per i frammenti più piccoli a oltre 1000 per quelli più grandi.
Il professor Mario Di Martino, astronomo dell’Inaf, con un frammento del meteorite che provocò il cratere (per cortesia dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e dell’Istituto nazionale di astrofisica)
«È UNO SCEMPIO» – «È un vero scempio: meteoriti di un tipo molto raro a trovarsi, le ataxiti, ricche in ferro e nickel, che dovrebbero essere analizzate e quindi conservate nei musei scientifici, sono messe all’asta al prezzo di qualche euro il grammo, per poi finire in collezioni private», commenta Mario Di Martino, astronomo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Torino, e uno dei protagonisti della scoperta e della spedizione al cratere egiziano. Né più né meno come i profanatori di tombe o i predoni di materiali archeologici, i cacciatori di meteoriti, eludendo gli scarsi controlli delle autorità locali, sono accorsi a frotte nell’Egitto Meridionale, al confine con Libia e Sudan e hanno fatto man bassa di campioni di ogni dimensione, dopo che la spedizione scientifica italo-egiziana aveva completato la sua prima ricognizione. «Un’intesa firmata con l’Accademia delle Scienze egiziana ci aveva concesso di trasferire in Italia, per le analisi, il 20% del materiale raccolto, cioè circa 180 kg di meteoriti – lamenta Di Martino -. Ebbene, su disposizione verbale dei militari che ci hanno accompagnato nel corso della spedizione, l’accordo è stato disatteso, concedendoci di portare solo 20 kg di campioni. Ma non hanno pensato affatto a proteggere dalle razzie l’abbondante materiale rimasto sul sito. E questo è il risultato».
Il cratere ha una cinquantina di metri di diametro (per cortesia dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e dell’Istituto nazionale di astrofisica)
SCIENZIATI ITALIANI AL LAVORO – Il sospetto che una buca di una cinquantina di metri in pieno deserto potesse essere un cratere meteorico, era venuto per la prima volta al dottor Vincenzo De Michele, già curatore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, analizzando le immagini da satellite disponibili su Google Earth. Lo studioso aveva riferito la sua ipotesi a ricercatori italiani di vari enti e università esperti in meteoriti i quali, a loro volta, avevano coinvolto nella ricerca i colleghi egiziani. Si è costituito così un numeroso gruppo, coordinato da Mario Di Martino, coinvolgendo Luigi Folco del Museo Nazionale dell’Antartide dell’Università di Siena, Massimo D’Orazio esperto di meteoriti metalliche dell’Università di Pisa, Giancarlo Negro grande esperto di deserto, e altri, che ha compiuto una spedizione a Gebel Kamil nel febbraio 2010. Già alla prima ricognizione l’attesa conferma: la buca nel terreno, a soli 2 km dal confine con il Sudan, ha tutte le caratteristiche di un cratere da impatto: bordi rilevati, raggiere formate da frammenti, minerali tipici delle fusioni ad alta pressione e, soprattutto, centinaia di frammenti di meteoriti metalliche, le ataxiti appunto. Un cratere da impatto unico nel suo genere, tra gli oltre 170 finora conosciuti sul nostro pianeta. Un articolo accettato sulla prestigiosa rivista Science (The Kamil Crater in Egypt, 13 agosto 2010) ha consacrato infine la scoperta. Ora, nonostante il dispiacere del saccheggio, gli scienziati italiani vorrebbero tornare in Egitto per completare le indagini.
LE STIME – «Speriamo di essere di nuovo a Gebel Kamil nel prossimo mese di febbraio – informa Di Martino –. Nostro obiettivo principale è la determinazione più precisa dell’età dell’impatto. Una prima stima ci porta a farla rientrare in un tempo compreso fra 5000 e 1000 anni fa. Io propendo per l’età più recente, perché il cratere è ben conservato. Per stabilire una data più precisa dovremmo effettuare carotaggi sul fondo del cratere e estrarre, di notte, al buio, le polveri di quarzo presenti sul fondo del cratere formatesi durante l’impatto le quali, esaminate poi in laboratorio con particolari tecniche, potranno fornirci indicazioni più puntuali».
Franco Foresta Martin